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VINO E TERRITORIO

Biologico al 100% (anche in disciplinare) e “vigna”: il futuro del Valdarno di Sopra Doc

Le riflessioni di produttori, enologi e critica internazionale ieri nel Valdarno di Sopra Day, nella Tenuta Il Borro di Ferragamo

Il vino del Valdarno di Sopra Doc ha storia antica, sancita dal celeberrimo “Bando sopra la Dichiarazione dé Confini delle quattro Regioni Chianti, Pomino, Carmignano e Val d’Arno di Sopra” del 1716, eppure è “contemporaneo”, come lo ha definito Monica Larner, italian editor di “The Wine Advocate” (qui l’audio, insieme a Jeff Porter by “The Wine Enthusiast”, ndr. Due caratteri di una denominazione tutto sommato giovane, e piccola (250.000 le bottiglie prodotte ad oggi, ma il numero è destinato a crescere) che lega Arezzo e Firenze, passando per il Ponte a Buriano che fa da sfondo alla Gioconda di Leonardo Da Vinci, ma che ha una visione chiara e netta del suo futuro, dove il 100% dei produttori produce in regime di biologico, che il Consorzio, guidato da Luca Sanjust, da anni, con il consenso unanime di tutti i produttori, cerca di mettere in disciplinare - scelta rimarcata anche dalla nascita dell’associazione “Produttori Vigne Bio Valdarno” - e che più che su sottozone e menzioni geografiche, ha scelto di puntare sui vini “single vineyards”, per rimarcare ancora di più la scelta di essere una “denominazione di territorio”, più che di vitigno, sebbene il Sangiovese, che domina e che si esprime a livelli sempre più alti, e diversi dalle altre grandi denominazioni rossiste della toscana, pur accompagnato da Ciliegiolo, Canaiolo, Pugnitello, Malvasia Bianca e Malvasia Nera, a cui si aggiungono con le recenti modifiche richieste al disciplinare, Trebbiano e Orpicchio, Foglia tonda, Gratena e l’alloctono Pinot Nero, che si affianca così ai già presenti Merlot, Syrah, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e, fra le varietà a bacca bianca, anche Chardonnay. Una visione che punta necessariamente sulla qualità, per vocazione e per dimensione della denominazione, sul biologico “non per marketing ma come scelta qualitativa”, ha sottolineato il direttore del Consorzio, Ettore Ciancico, ma che pagherà anche sul mercato perchè “è quello che i consumatori cercano, sempre più attenti alla sostenibilità, come dimostrano la crescita del vino bio, che 10 anni fa era consumato da 1 persona su 50, e oggi da 1 su 2”, ha detto Maria Grazia Mammuccini, presidente Federbio e produttrice di vino, con la cantina Mannucci Droandi, e le scelte dell’Europa, che punta al 25% di agricoltura biologica entro il 2050, ma anche della Regione Toscana, che è già al 35%, come ha ricordato l’Assessore all’Agricoltura e vice presidente della Regione Toscana, Stefania Saccardi. Messaggi arrivati nel “Valdarno di Sopra Day”, di scena ieri al Borro della famiglia Ferragamo, dove il vino sposta larte (qui il video) tenuta che, insieme a Tenuta Sette Ponti della famiglia Moretti (qui in video), ed a Petrolo di Luca Sanjust, ha dato lustro ad una denominazione “che ha bisogno di essere forte, unita, perchè è un Doc stupenda - ha detto Ferruccio Ferragamo, uno dei più importanti imprenditori italiani, della moda e del vino - con una lunga storia. Abbiamo una grande chance, di fare una Doc che sarà l’unica veramente biologica, e ci credo tantissimo, perchè il Valdarno di Sopra ha tutte le chance per essere una denominazione unica, grazie a tanti fantastici produttori”.
Un territorio “sottovalutato, ed è un bene che oggi, dopo il successo di alcune singole aziende, si inizia a parlarne come territorio”, ha detto Carlo Ferrini, produttore e consulente enologo tra i più affermati d’Italia, con cantine di primo piano dal Trentino alla Sicilia, che ha ricordato come un territorio che in passato era conosciuto soprattutto per i bianchi, storicamente sia considerato la patria natia del “Sangiovese Piccolo, diverso dal Sangiovese Grosso, che caratterizza, per esempio, Chianti Classico e Montalcino”. Un territorio in cui, ha sottolineato l’enologo e produttore Maurizio Alongi, “si deve valorizzare soprattutto il Sangiovese, che qui da sempre uve non eccessivamente concentrate, con un ph equilibrato, tanto per i vini più semplici che per quelli più importanti, e può competere con i grandi Sangiovese di Toscana, senza nulla togliere alle varietà autoctone “minori” o alle internazionali”. Un territorio, il Valdarno di Sopra, che si sta facendo notare come racconta Monica Larner, italian editor di “The Wine Advocate”. “Quando ho iniziato ad occuparmi dell’Italia per Robert Parker, dieci anni fa, gli assaggi erano divisi tra Nord, Centro e Sud, ed uscivamo sei volte all’anno. La Toscana era in un unico contenitore, ma per me non andava bene. Quindi abbiamo diviso per territorio, Chianti Classico e Montalcino in testa, ovviamente, ma subito ho visto questo piccolo territorio, il Valdarno, e ho pensato che meritasse un articolo a parte. È un territorio che va raccontato, e quindi sono sette anni che pubblico i vini del Valdarno a parte. E questo consente di parlare della vostra voglia di cambiare, oltre che rispondere a consumatori che vogliono guardare sempre più al dettaglio, sempre più ai piccoli territori. Emerge un’anima contemporanea in questi vini, sono vini che il consumatore vuole, sono diversi, ed a me piace parlare di territorio più che di vitigno, vuol dire parlare di un territorio più fluido, capace di evolvere e di adattarsi ai tempi”. Ed anche al cambiamento climatico, che oggi fa notizia, “perchè avviene a ritmi molto più veloci che in passato per via dell’industria, perchè in tema di emissioni di Co2 abbiamo fatto in 100 anni quello che prima avveniva in 10.000, e dobbiamo intervenire subito perchè per tornare indietro ci vuole tempo”, ha ammonito, in collegamento, il meteorologo di “La7” Paolo Sottocorona. E, d’altronde, l’unica costante è il cambiamento, come ha ricordato Allen J.Grieco, professore storico per la sede di Firenze della prestigiosa “The Harvad University”. “Nel Trecento/Quattrocento, i vini di qualità erano poco alcolici, poco colorati. Poi nel Settecento si impone il gusto inglese, e cose cambiano. Ma nell’Ottocento un mito che è ancora tale oggi, Chateau Lafite, aveva il 7-8% di grado alcolico. Questo per dire che l’evoluzione nel tempo è come l’adattarsi a condizioni e gusti che cambiano, non pensare che c’è un “optimum” da raggiungere”. E, tutto sommato, il cambiamento climatico, come confermato anche dagli enologi Ferrini, Alongi e Chioccioli (qui la loro intervista) è “solo” una variabile da gestire, “attraverso la scienza, come abbiamo fatto in questi ultimi 20 anni, nei quali abbiamo prodotto vini buoni come mai prima, attraverso una gestione diversa della vigna, della pianta e non solo”, ha ricordato il presidente degli enologi italiani e mondiali, Riccardo Cotarella.

La scienza, però, ha bisogno di sperimentazione, non solo in laboratorio, ma anche in campo aperto. E su questo è arrivato l’appello di Gabriella De Lorenzis, ricercatrice dell’Università di Milano, che fa parte del team del professor Attilio Scienza. “Per gestire il cambiamento climatico servono strumenti a medio ed a breve termine. Nel primo caso lavoriamo su miglioramento genetico, portainnesti e nuove varietà. Ma, a breve termine, possiamo lavorare con molecole naturali che possiamo sintetizzare in laboratorio, le molecole Dsrna, ovvero Rna doppio filamento, che sono naturali, perchè la pianta le produce già, e che inibiscono, spengono alcune funzioni che la pianta ha durante il suo ciclo vitale, funzioni che altrimenti le impedirebbero di essere resiliente o andare oltre agli stress che può subire. A Milano, ed insieme ad altre Università, stiamo lavorando a prodotti applicabili come si faceva con i pesticidi, ma sono molecole naturali. Noi oggi sperimentiamo in serra, in orto o in piccole collezioni ampelografiche, ma siccome queste molecole non hanno ancora una normativa non possiamo sperimentare in campo. In Australia e Nuova Zelanda da poco possono essere utilizzate, e si spera che la politica prenda a cuore questo aspetto perchè non vorremmo arrivare in ritardo anche su questo campo”.

Ma come detto, al netto della sperimentazione che è un tema che riguarda tutto il vino italiano, un’altra strada che molte denominazioni stanno percorrendo, è quella dell’introduzione delle sottozzone, sottoforma di Menzioni o Unità Geografiche Aggiuntive (le cosiddette Mega o Uga) o altro. Il Valdarno di Sopra, invece, ha scelto la strada della “Vigna”. Una strada che approvano Stefano Chioccioli, enologo consulente di lungo corso e firma di tanti vini premiati dalla critica, secondo cui “è la via giusta, che arriva da un percorso che, per alcuni, è iniziato già nel 1990, e che permette ad un’azienda di dire quali sono le sue vigne migliori, e quindi le sue uve e vini migliori, studiando caratteristiche come microclima, esposizione e così via”. Ed è una strada che approva anche Jeff Porter, vecchia conoscenza del vino italiano, già resposabile di vino e beverage per i ristoranti americani di Joe Bastianich (e protagonista di “Sip Trip”, format tv di racconto di un viaggio nell’Italia del vino, realizzato, negli scorsi anni, in partnership con Vinepair, Iem e Colangelo & Partners, ndr), ed oggi responsabile per la rivista Usa “Wine Enthusiast” degli assaggi da Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Umbria e tutto il Nord, da Est ad Ovest (mentre il resto è coperto dalla collega Danielle Callegari, ndr).

“Il consumatore di vino - ha detto Jeff Porter - sta cambiando, ed è diverso da Usa ad Asia, per esempio. Ma la specificità, la voglia conoscere da quale vigna viene quella bottiglia, soprattutto per i consumatori più evoluti e che cercano vini di alto valore, sta diventando sempre più importante, e l’idea di puntare sul single vineyards è intelligente perchè risponde a questa richiesta di specificità”. Biologico e vigna, dunque, sono i due binari su cui si muove il Valdarno di Sopra, un territorio che è anche in sintonia con il pensiero di Slow Food, come ha sottolineato la presidentessa Slow Food Italia, Barbara Nappini, che condivide la “lotta contro la banalizzazione del cibo e del vino, nel segno ella sostenibilità e del legame con il territorio, all’insegna del “Buono, Pulito e Giusto”. Ed i vino, che nella narrazione di certi valori è più avanti di tutti gli altri settori, è fondamentale per raccontare e disegnare un futuro agricolo migliore, che è necessario”.

Un futuro che, come detto, per il Consorzio del Valdarno di Sopra passa anche dall’inserimento del bio in disciplinare. Percorso complesso, però, perchè se già esiste un precedente in Europa, ovvero la Do Cava, in Spagna, che è riuscita ad inserire il biologico in disciplinare come obbligatorio, ma solo per la fascia più alta (e minoritaria, in quantità), della sua produzione, come ha spiegato la “Cava Ambassador” Nicoletta Dicova, a livello normativo non sarà semplice da concludere. “Non perchè non sia un’idea virtuosa, che anzi condividiamo, ma perchè mentre quella della Denominazione di Origine è una certificazione di prodotto, quella del biologico è una certificazione di metodo, e metterle entrambe come condizioni obbligatorie normativamente non è semplice”, ha spiegato in collegamento Roberta Cafiero (Ministero dell’Agricoltura), che ha lasciato, però, una porta aperta al confronto sul tema.

Intanto, però, il Valdarno di Sopra non abbandona l’idea, anzi, rilancia, creando l’associazione “Produttori Vigne Bio Valdarno”: “è un’associazione di produttori che producono da vigne già regime biologico. Non è un ripiego, o un’alternativa - ha detto Luca Sanjust - ma uno strumento che vuole rafforzare il nostro messaggio e le nostre intenzioni, e che siamo convinti ci aiuterà ad inserire il biologico come obbligatorio in disciplinare, perchè è quello che vogliono tutti i produttori del territorio”.

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