L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea potrebbe costare caro alle eccellenze del made in Italy. L’assenza di un accordo commerciale dettagliato tra le due parti, infatti, costituirebbe una minaccia per le garanzie sulla tipicità dei prodotti, oltre a provocare il ritorno delle frontiere con il conseguente pagamento di dazi e controllo delle merci che provengono dall’Italia. Secondo Coldiretti, che ha lanciato l’allarme, a rischio sarebbe il 30% dei prodotti agroalimentari italiani, che corrispondono a forniture stimate pari a 3,4 miliardi di euro (dati 2019). Preoccupazioni condivise anche dal presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo Antonio Tajani, che nel suo intervento nella plenaria a Strasburgo ha sottolineato che il Regno Unito “non può rientrare nel mercato unico come un cavallo di Troia, senza rispettare regole e standard”.
“Per salvaguardare il Made in Italy agroalimentare - commenta Rosa Mosca, esperta di proprietà intellettuale dello studio legale di Rödl & Partner - è necessario stipulare un accordo nel quale vengano regolate una serie di questioni fondamentali per gli scambi commerciali e che non deroghi ad alcuni principi fondamentali dell’agricoltura europea: ovvero la tutela dell’ambiente e della salubrità degli alimenti, la salvaguardia dell’agricoltura in quanto tale, il riconoscimento dell’origine dei prodotti e delle materie prime”. “In più - continua l’esperta di Rödl & Partner - Igp e Dop, senza intesa, non sarebbero più garantite sul mercato britannico, con il conseguente avanzamento delle imitazioni e delle contraffazioni delle nostre specialità e il rischio di vendita in Paesi terzi che non rispettano gli standard europei come ad esempio gli Usa”.
Il riferimento, sottolinea la Coldiretti, è alle imitazione del made in Italy che nel mondo fatturano 100 miliardi e che vedono tra i maggiori contraffattori Usa, Canada e Australia. Gli esempi non mancano: dalla vendita di falso prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o la più recente apertura del distributore automatico di calici di prosecco installato a Londra su iniziativa di una vineria della capitale, Vagabond Wines.
“In attesa degli auspicati accordi commerciali - conclude Rosa Mosca - per ciò che concerne i titoli di privativa quali i marchi collettivi, che informano i consumatori che il produttore dei beni o il fornitore di servizi appartiene a una determinata associazione di categoria e che ha il diritto di utilizzare il marchio, come per esempio il Grana Padano o il Vetro artistico Murano e di certificazione dell’Ue, che hanno lo scopo di certificare determinate caratteristiche dei prodotti o dei servizi, ci sarà la possibilità entro 9 mesi dall’uscita definitiva del Regno Unito dall’Ue di creare un corrispettivo parallelo marchio nazionale, così da avere una tutela, seppur minima, dei prodotti italiani nel Regno Unito”.
La Gran Bretagna, fa notare la Coldiretti, è al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese nel settore dell’agroalimentare, preceduta da Germania, Francia e Stati Uniti. Le forniture Made in Italy stimate nel 2019 sono state pari a 3,4 miliardi di euro. Dopo il vino, che complessivamente fattura sul mercato inglese circa 800 milioni di euro, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna c’è l’ortofrutta fresca e trasformata come i derivati del pomodoro, ma anche pasta, formaggi e olio d’oliva.
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