Se un settore sia in crisi o meno, lo si può capire anche andando ad analizzare il primo anello di tutta la filiera, che nel caso del vino è rappresentato dalle barbatelle di vino. WineNews ha chiesto l’analisi del particolare momento economico a Eugenio Sartori, direttore dei Vivai Cooperativi Rauscedo, azienda leader del settore con oltre metà del mercato italiano, e con più del 30% di export.
“La crisi c’è - afferma con decisione Sartori - perchè la propensione agli investimenti viticoli è nettamente diminuita un po’ in tutti i Paesi. In alcuni questa è diventata veramente un crollo: parlo della Spagna che vive una crisi economica più profonda rispetto ad altri Paesi, del Portogallo, della Grecia. Poi ci sono i Paesi dell’est Europa: Ucraina, Moldavia e anche Russia, che hanno dei problemi di ordine economico molto gravi e dove gli Stati stessi hanno problemi di liquidità. C’è stata una svalutazione molto forte delle monete locali e quindi i vitivinicoltori, anche quelli che vorrebbero fare o proseguire negli investimenti, non hanno la disponibilità di valuta per acquistare la materia prima. Nei paesi dove, a livello di aziende, c’è un tasso di autofinanziamento più elevato si sente meno questa riduzione, dove invece l’autofinanziamento è molto basso e si fa ricorso al credito, oggi gli investimenti in viticoltura siano praticamente fermi o quasi”.
Quale è, invece, la situazione in italian?
“Il tasso di autofinanziamento delle aziende è abbastanza buono tutto sommato, sopratutto in agricoltura. Abbiamo una situazione a macchia di leopardo: complessivamente c’è una riduzione di domanda del 20%, però ci sono anche delle aree felici. L’area del Nord-Est dove si pianta e si coltivano il Prosecco e il Pinot Grigio, ad esempio, sta mantenendo i livelli dello scorso anno, se non addirittura superando gli investimenti in viticoltura rispetto al recente passato. Ci sono aree invece dove la caduta della domanda è anche del 60%: ad esempio le Marche, l’Abruzzo e anche il Salento. Ci sono effettivamente delle zone che stanno soffrendo molto, sopratutto dove la remunerazione dell’uva è stata particolarmente bassa”.
Se dovessimo fare una sorta di “borsino” dei vitigni quali sono quelli che, nonostante la crisi, restano i più richiesti ed invece quali quelli che stanno perdendo colpi?
“C’è stato sicuramente uno spostamento verso i vitigni a bacca bianca. Quando ci sono difficoltà economiche, anche chi può, al ristorante è portato psicologicamente a risparmiare, a portarsi lontano da vini molto costosi, e i vini bianchi sono, in proporzione, meno costosi rispetto ai rossi. Questo uno dei due motivi per cui c’è stato uno spostamento verso i vitigni a bacca bianca. L’altro è che dopo anni di moda esagerata dei vini rossi, il consumatore si è anche stancato e vuole andare verso tipologie di prodotto diverse, più facili, più beverine, e questo il bianco lo può permettere. In questo senso sono dunque facilitati vitigni come il Prosecco, che dà origine a vini che poi come prezzo sono accessibili sul mercato rispetto ad alcuni vini rossi o anche ad altri bianchi”.
“Tra i vitigni più richiesti - prosegue Sartori - ci sono dunque il Prosecco, il Pinot Grigio e il Sangiovese. Fra quelli meno richiesti il Cabernet Sauvignon, per citare un vitigno internazionale, e anche il Nero d’Avola ha subito una riduzione molto forte, a vantaggio del Catarratto. E poi anche varietà piemontesi come Dolcetto e Grignolino hanno perso posizioni; il Moscato Bianco e il Pinot Nero invece tengono bene. C’è una discreta richiesta di Vermentino, mentre il Montepulciano in questo momento è penalizzato dalle basse liquidazioni e dal minor utilizzo per i tagli, e lo stesso si può dire dei vitigni del Salento come Negroamaro e Primitivo”.
Facendo un bilancio, fra i vitigni internazionali e quelli autoctoni o di nicchia, quale delle due tipologie sta resistendo meglio al momento?
“In questo momento resistono meglio gli internazionali e certi vitigni nazionali importanti. I prodotti di nicchia derivanti da vitigni autoctoni perdono effettivamente colpi a causa della crisi ed il viticoltore è meno disposto a rischiare; tranne quei prodotti da vitigni autoctoni che si sono fatti una certa notorietà e dunque si rischia meno”. “Il viticoltore non vuole rischiare di produrre qualcosa che non sa bene che potenzialità enologica ha e rispetto al quale non ha ancora dati relativamente al possibile apprezzamento del prodotto sul mercato”.
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