Crescono le difficoltà per i bar, icone dell’Italian lifestyle: dal 2012 ad oggi è diminuito di 15.000 unità il numero delle imprese, mentre ogni anno sono almeno 10.000 quelli che che cessano l’attività. Il risultato è che il tasso di sopravvivenza a 5 anni dei bar non raggiunge il 50%, ossia su 100 imprese che avviano l’attività ne sopravvivono meno di 50 a distanza di cinque anni.
“Stanno in questi numeri - dichiara Matteo Musacci, vice presidente Fipe/Confcommercio - le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari. Tenere in piedi un’azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro - prosegue Musacci - sta diventando sempre più difficile. Se a questo aggiungiamo che anche muovere i listini per adeguarli all’inflazione è complicato, il rischio che i conti non tornino è evidente. Occorre ripensare il modello di business partendo dal presupposto che tenere aperto 7 giorni su 7 per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. Ed aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti”.
Nel comparto in Italia lavorano attualmente, tra dipendenti e indipendenti, oltre 300.000 persone, con una forte diffusione territoriale (2 imprese ogni 1.000 abitanti, 9 comuni su 10 hanno almeno un bar) e con apertura 7 giorni su 7 per una media di 14 ore giornaliere. E dove è in aumento la presenza di imprenditori stranieri con una particolare vivacità della comunità cinese. Sono oltre 12.000, il 12,2% del totale, i bar gestiti da stranieri, con punte che in alcune regioni come la Lombardia sfiorano il 20% o addirittura lo superano, come in Veneto e in Emilia Romagna.
È passato molto tempo da quando, nell’Ottocento, in Italia fiorì la cultura dei “Caffè”: a Venezia, il Florian, a Firenze, il Gilli, a Roma, il Greco, a Napoli, il Gambrinus. Da allora il “Bar”, che, via via, ha sostituito nominalmente, senza tuttavia eliminarla, la parola “Caffè”, ha seguito un processo evolutivo che ha accompagnato gli eventi della storia, della cultura e della società e con essi gli stili di vita e di consumo degli italiani: da luogo privilegiato per la colazione e per la pausa caffè di metà mattina a punto di riferimento, a partire dagli anni Novanta del Novecento, per il pranzo di mezzogiorno di milioni di lavoratori impiegati nell’economia terziaria e successivamente a momento di convivialità nella pausa serale dedicata all’aperitivo e perfino - in alternativa alla tradizionale cena - all’apericena. Un’attività in continua trasformazione per accompagnare l’evoluzione dei modelli di consumo e della società stessa. Tutte considerazioni sviluppate nella tavola rotonda “Le sfide del bar del futuro: qualità, professionalità e innovazione” che Fipe/Confcommercio ha organizzato a Sigep 2023 - in corso in questi giorni, a Rimini - con relazioni di Matteo Musacci, vice presidente Fipe/Confcommercio e titolare dell’Apelle Cocktail Bar, Marco Ranocchia, fondatore PlanetOne, Igor Nuzzi, regional Director Italia & Svizzera Lavazza, Francesco Santoro, head of eCommerce Partnerships Nexi, Paolo Staccoli, proprietario dello Staccoli Caffè di Rimini e Matteo Figura, director Foodservice Italy, The Npd Group Inc.
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