Il “Cacio Romano” potrà continuare ad essere commercializzato con questo nome in quanto non vi è alcun rischio di confusione per la diversità tra i prodotti e considerata l’assenza di similitudine fonetica con il “Pecorino Romano”, che è già una Dop. La decisione, definita “assurda” dal Consorzio del Pecorino Romano e da Origin Italia, che riunisce i consorzi delle indicazioni geografiche tricolore, arriva dal verdetto della Cassazione che, confermando quanto deciso ad agosto 2018 in Corte di Appello, ha respinto il ricorso presentato dal Consorzio per la Tutela del Pecorino Romano dichiarando lecito l’uso del marchio “Cacio Romano”.
“Una decisione che ovviamente ci lascia molto amareggiati. Si vanificano così tutte le attività dedicate a spiegare al mondo il valore delle nostre eccellenze e il loro impatto sulle filiere, con una sentenza frettolosa che butta via anni di sacrifici e di duro lavoro - dichiara Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino Romano - la politica non può interessarsi soltanto a quello che succede fuori dai confini nazionali, ma deve apprendere che i problemi seri di evocazione avvengono in casa nostra e pertanto non può girarsi dall’altra parte e ignorare quanto avviene”.
“I problemi sulla difesa delle denominazioni ad Indicazione Geografica riguardano anche casa nostra, come dimostra la sentenza della Cassazione sul Pecorino Romano Dop - commenta Cesare Baldrighi, presidente Origin Italia - tanto più grave se pensiamo alla battaglia legale europea ancora in corso sul Prozek e sull’aceto balsamico della Slovenia. Come se non bastasse, mentre è in fase di approvazione il nuovo quadro normativo comunitario sulle Indicazioni Geografiche, che sta vedendo il nostro Paese e la nostra Organizzazione battersi per una più incisiva tutela verso le emulazioni. Origin fa un appello quanto mai urgente, visto il gravissimo fatto accaduto, alla politica affinché emani norme adeguate e precise contro le evocazioni dei prodotti Dop e Igp che non consentano più interpretazioni così dannose per il sistema food di qualità nazionale da parte dei Tribunali italiani”.
La sentenza degli “ermellini”, spiega ancora Origin Italia, “scardina così tutti i progressi fatti nella protezione delle Indicazioni Geografiche che quotidianamente combattono con prodotti che sfruttano la loro notorietà e traggono in confusione i consumatori. Tale decisione rischia pertanto di indebolire l’intero sistema, già oggetto di continui attacchi da parte di imitazioni estere”. Chi, invece, gioisce per la sentenza è la Coldiretti Lazio, che rilancia per il riconoscimento della Dop “Cacio Romano”.
“Coldiretti Lazio è sempre stata in prima linea per tutelare gli allevatori laziali e questa è una vittoria importantissima per tutto il settore. Abbiamo dovuto difendere il loro lavoro. Dopo anni di battaglia il Cacio Romano potrà avere una sua Dop a vantaggio di oltre 5.000 allevatori del Lazio, dove sono presenti più di 800.000 capi di ovini”, commenta i presidente David Granieri, sull’ordinanza della Cassazione che ha bocciato il ricorso presentato dal Consorzio per la tutela del formaggio Pecorino Romano Dop, sostenuto dai produttori di latte ovino sardo, contro la “Formaggi Boccea” che produce il “Cacio Romano”, appoggiata da Coldiretti Lazio e dalla Regione. “Questa sentenza dovrebbe rappresentare un’apertura al riconoscimento del marchio Dop per il Cacio Romano, una richiesta che abbiamo avanzato da tempo - conclude il presidente Granieri - e da troppo tempo il dossier è fermo sui tavoli ministeriali. La mancanza del riconoscimento del marchio Dop penalizza il Lazio.
Questa scelta favorirebbe lo sviluppo del sistema zootecnico laziale, consentendo così l’utilizzo di una quota significativa di latte ovino, per la realizzazione di un prodotto di grande distintività e competitività sul mercato. Allo stesso modo sarebbe opportuna una distintività del pecorino romano Dop laziale da quello prodotto in Sardegna”. Di fatto, spiega la Coldiretti laziale, la Cassazione ha confermato quanto già stabilito dalla Corte di Appello di Roma che nel 2019 consentiva alla “Formaggi Boccea” di continuare ad usare il marchio “Cacio Romano” perché con il Pecorino Romano sussisteva la “radicale diversità dei prodotti e l’assenza di alcuna similitudine fonetica e logica delle due denominazioni”. Questo rendeva quindi impossibile ipotizzare “un agganciamento parassitario alla notorietà del marchio Pecorino romano”. Per la Cassazione, in sostanza, la Corte di Appello “ha ritenuto le parole “Pecorino” e “Cacio” il cuore dei rispettivi marchi, ritenendo, invece, verosimilmente il termine “Romano” come una mera indicazione di provenienza e, come tale, non avente carattere distintivo”.
Si tratta dunque di due prodotti distinti, come sostenuto già nel 2019 dalla Corte d’Appello, che ha ritenuto il Pecorino Romano come un “formaggio aromatico e piccante, stagionato (a pasta dura o cotta), impiegato essenzialmente come formaggio di grattugia, prodotto con latte di pecora, mente il Cacio Romano come formaggio dolce, semistagionato, che richiama la caciotta a pasta molle di latte anche vaccino (riconducibile quindi alla mucca) che non si può grattugiare ed è quindi impiegato solo come formaggio da tavola”.
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