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Chef e produttori, alleati nel nome dell’etica, del rispetto della Terra e della sostenibilità: a Montecatini Terme si rinnova il patto tra cuochi e coltivatori dell’Alleanza, il progetto transnazionale di Slow Food per un nuovo concetto di cucina

Più di duecento cuochi italiani sono arrivati a Montecatini Terme per confrontarsi con i colleghi albanesi, russi, francesi, olandesi, belgi e islandesi durante l’edizione n.2 dell’Incontro Nazionale dei Cuochi dell’Alleanza, il progetto targato Slow Food che riunisce 480 locali in Italia e altri 836 in 18 Paesi e che ha suggellato un patto di collaborazione tra i produttori dei Presìdi Slow Food, delle realtà produttive locali più virtuose e gli chef, che così facendo diventano ambasciatori della propria terra e si fanno sostenitori delle produzioni alimentari che rispettano sia il lavoro di tutti che l’ambiente (https://goo.gl/c9jzyu).
Sposando interamente il ruolo di chef come educatori e ambasciatori, culturali e sociali ancor prima che culinari, ne consegue che l’attività di un cuoco non può prescindere da un’attenzione rigorosa e selettiva in termini di approvvigionamento della materia prima come chiave di volta della salvaguardia dell’ambiente, come sottolineato in apertura dei lavori da Pietro Sardo, presidente Fondazione Slow Food per la Biodiversità: “L’unica vera meta che possiamo darci è preservare la nostra Terra. E invece continuiamo a bruciare le paratie, ma siamo agli sgoccioli. Non possiamo più negare gli effetti dell’impatto dell’uomo su clima e ambiente, ce l’abbiamo sotto gli occhi. Lo leggiamo e vediamo su tutti i giornali. Allora noi per primi dobbiamo abbandonare un certo modo di produrre e scegliere il naturale, abbandonare la chimica presente in molti alimenti, a partire dai nitriti o dai lieviti selezionati, e stare dalla parte di un’agricoltura sostenibile”. Un punto di vista inequivocabile, e che ben si sposa con quello esposto da Francesco Sottile, docente presso il dipartimento di colture arboree dell’Università degli Studi di Palermo e membro del comitato scientifico della Fondazione Slow Food, nel corso del suo intervento, focalizzato sulla relazione tra produzione alimentare e ambiente e sull’impatto che la prima ha sul secondo: “Stiamo saccheggiando la nostra Terra madre, stiamo mangiando pezzi di mondo che sappiamo non si possono rigenerare. Abbiamo appena assistito agli episodi di siccità più grave degli ultimi anni. E a pagarne il dazio maggiore sono le popolazioni rurali costrette ad abbandonare le campagne e migrare. Questi sono alcuni degli effetti del cambiamento climatico, un fenomeno causato dall’attività antropica e dall’eccesso di gas serra nell’atmosfera. E ormai sappiamo che il settore alimentare è tra i maggiori emettitori: in Europa la produzione di cibo pesa per il 31% sul totale delle emissioni, oltre il 20% a livello mondiale. Di questo il 38% è causato da pesticidi e il 31% dall’allevamento animale”, afferma Sottile. “Stiamo parlando ovviamente di quell’agricoltura che è totalmente incurante della preservazione della terra. Questo tipo di produzione non è più ammissibile. Oggi più che mai dobbiamo far vedere che un altro tipo di produzione è possibile e scegliere chi utilizza tecniche agroecologiche”. Un contesto allarmante, e nel quale è imperativo, innanzitutto dal punto di vista morale, ridurre lo spreco alimentare, responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Un compito che ogni cuoco deve far proprio, perché ogni anno solo in Italia vengono gettate nella spazzatura dei ristoranti 185.000 tonnellate di cibo ancora commestibile. Ed è per questo che Slow Food, insieme al Politecnico di Torino e al Banco alimentare, ha sviluppato con Cuki la “Save Bag”, un comodo contenitore che tanti ristoratori stanno adottando per permettere ai propri ospiti di portare a casa il cibo avanzato, cercando così di spingere la propria clientela a vincere un presupposto stigma connesso alla pratica di portare con sé quanto comprato e pagato per evitarne lo spreco.

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