Chianti e Amarone, Barbera, Friulano e Ribolla, Pecorino Romano, Prosecco e persino sidro di mele. Nella guerra commerciale che rischia di aprirsi con l’arrivo dei dazi di Trump il 2 aprile, ci sono prodotti tricolori in pericolo molto più degli altri, perché tanto dipendenti dall’export verso gli Stati Uniti. E lo stesso vale per le regioni, con Sardegna e Toscana particolarmente esposte a perdite milionarie con le nuove tariffe a stelle e strisce. Emerge dall’analisi di Cia-Agricoltori Italiani presentata nella sua Conferenza economica n. 10, andata in scena oggi, 12 marzo, a Roma, sulla base dei dati di Nomisma e dell’Ufficio studi confederale, nella quale ha fatto “irruzione” la notizia dei dazi Usa al 25% imposti su acciaio e alluminio, alla quale è seguito l’annuncio di contro-dazi da parte della Commissione Ue.
Gli Usa sono la prima piazza mondiale del vino italiano con 1,9 miliardi di euro fatturati nel 2024, ma con “esposizioni” più forti di altre a seconda delle bottiglie. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono, infatti, secondo la Cia, i vini bianchi Dop di Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni di euro), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni di euro) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni di euro). Grandi numeri che i dazi possono scombinare, lasciando strada libera ai competitor di aggredire una fetta di mercato molto appetibile: dal Malbec argentino, allo Shiraz australiano ed al Merlot cileno.
Guardando ai prodotti alimentari made in Italy che trovano negli Stati Uniti il principale sbocco, in termini di incidenza percentuale sulle vendite oltre frontiera, al primo posto si colloca il sidro, una nicchia di eccellenza che destina il 72% del suo export al mercato americano (per un valore di circa 109 milioni di euro nel 2024), continua la Confederazione Italiana Agricoltori, seguito dal Pecorino Romano (prodotto al 90% in Sardegna), il cui export negli Usa vale il 57% di quello complessivo (quasi 151 milioni di euro). Due produzioni molto ricercate dall’industria a stelle e strisce, con “l’Apple Cider” tra le bevande più popolari tra i Millenials e il nostro formaggio di pecora utilizzato soprattutto per insaporire le patatine in busta. Ma con i dazi al 25%, il florido settore americano di chips e snack (2,5 miliardi di euro) potrebbe sostituire il Pecorino nostrano con altri prodotti caseari più convenienti. L’arrivo di nuove tariffe rischia dunque di tagliare di netto il loro mercato, con quote difficilmente rimpiazzabili in altre aree geografiche. Anche per l’olio d’oliva italiano, prosegue la Cia, gli Stati Uniti hanno un peso significativo, pari al 32% del proprio export (937 milioni di euro nel 2024), ma meno sostituibile nella spesa degli americani, e così a scendere per i liquori (26%, 143 milioni). Meno esposti al mercato Usa risultano, invece, Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per una quota che pesa per il 17% del valore dell’export congiunto di questi due formaggi (253 milioni di euro), così come pasta e prodotti da forno (13%, 1,1 miliardi di euro).
Se dai singoli prodotti o categorie di prodotti si passa all’export agroalimentare delle regioni, si scopre dai dati Cia che quella più esposta ai nuovi dazi risulta essere la Sardegna (dove si produce oltre il 90% del Pecorino Romano Dop) il cui export agroalimentare finisce per il 49% negli Stati Uniti (e, giocoforza, ci finisce anche il 74% dell’export dei prodotti lattiero-caseari isolani). Al secondo posto per maggior “esposizione” negli Usa figura la Toscana (28% del proprio export agroalimentare, con l’olio in “pole position” con il 42% e i vini con il 33% delle relative esportazioni). Ma negli Stati Uniti finisce anche il 58% dell’export di olio del Lazio, così come il 28% delle esportazioni di pasta e prodotti da forno abruzzesi e il 26% di quelle di vini campani. Insomma, considerando le diverse aree del Belpaese, secondo la Cia, sono le esportazioni agroalimentari del Centro e Sud Italia a “rischiare” di più con l’applicazione dei dazi di Trump, anche alla luce di relazioni consolidatesi negli anni con questo importante mercato, spesso grazie alla domanda generata dalle comunità di italiani residenti negli Stati Uniti.
“Serve un’azione diplomatica forte per trovare una soluzione e non compromettere i traguardi raggiunti finora - dichiara il presidente nazionale Cia Cristiano Fini - l’export agroalimentare negli Usa è cresciuto del +158% in dieci anni e oggi gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di riferimento mondiale per cibo e vino made in Italy con 7,8 miliardi di euro messi a segno nel 2024”. Secondo Fini, “l’Italia può e deve essere capofila in Europa nell’apertura di un negoziato con Trump, visto che abbiamo anche più da perdere. Gli Usa, infatti, valgono quasi il 12% di tutto il nostro export agroalimentare globale, mettendoci in testa alla classifica dei Paesi Ue, molto prima di Germania (2,5%), Spagna (4,7%) e Francia (6,7%)”. Ecco perché “bisogna agire e fare di tutto per contrastare l’effetto deflagrante dei dazi Usa alle porte, tra danni enormi a imprese e cittadini, dilagare dell’Italian Sounding e spazi di mercato a rischio occupazione da parte di altri competitor. A partire proprio dai prodotti e dalle regioni più esposti verso Washington”, conclude Fini.
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