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CONSUMI: CHINOTTO BOOM TRA BIBITE RETRO’. SCOPERTO IN USA. “PRODOTTO TUTTO ITALIANO APPRODA NELLA PATRIA DELLA COCA COLA

Il vintage è di tendenza anche nelle scelte di bere. Al baretto e negli stabilimenti balneari si riscoprono spuma, gazzosa e in particolare il chinotto che, in questa estate, nel segno della recessione, va per la maggiore. Il suo retrogusto amaricante piace perlopiù ai consumatori tra i 30 e 50 anni nostalgici della villeggiatura in Riviera, ma anche dai gourmet. Ma il chinotto, che in Italia muove un giro d’affari di oltre 60 milioni di euro (l’ultimo dato disponibile è quello di Assobibe 2006), ultimamente piace molto anche Oltreoceano, dove ha un target più giovane.
Questa bibita d’antan tutta italiana nella ricetta e nell’agrume coltivato in Liguria, dove è presidio Slow Food, e in Sicilia e Calabria, ha iniziato lo sbarco in Nord America circa tre anni fa. Prima in Canada e poi negli Usa, dove sono presenti un'azienda storica molisana, la Di Iorio spa, e la San Pellegrino. “Verso questi Paesi - spiega Gino Di Iorio, a capo dell’omonima azienda - si è orientata la gran parte della crescita produttiva di chinotto registrata in Italia negli ultimi anni. Nel nostro Paese, le vendite di chinotto hanno segnato quest’anno una tenuta, con punte di incremento per i mini-formato in vetro, in controtendenza con le altre bevande gassate” che - secondo dati Assobibe - hanno iniziato a perdere colpi già dal 2006, quando registrarono una flessione del 3,1% sull’anno precedente. Un trend in calo che, afferma Di Iorio “è proseguito fino ad oggi” e di cui hanno beneficiato oltre alle bibite retrò anche gli energy drink. A produrre chinotto in Italia sono appena una decina di industriali delle acque minerali, tra piccole imprese e multinazionali, mentre fino ad un decennio fa i produttori erano una miriade, a distribuzione regionale. Tra questi: San Benedetto, San Pellegrino, Neri, Lurisia, Di Iorio e Abbondio. Secondo gli ultimi dati di Beverfood, attualmente in Italia si consumano 6 litri pro-capite annui del binomio chinotto+spume, circa 5 litri di gazzose, 14 litri di aranciate e 26 litri di cole (Pepsi + Coca Cola). Le cole delle multinazionali sono i big per quota di mercato tra le bevande, con il 40% della Coca Cola (1.200 milioni di litri) e l’11% della Pepsi (330 milioni di litri). Un 16% di quota invece è ripartito tra 115 aziende Pmi (480 milioni di litri) tra cui i produttori di chinotto.
Il cavallo di Troia per l’approdo del chinotto nella patria della Coca Cola, così come in Australia, racconta Di Iorio, “é stata la comunità degli italiani all’estero che hanno affermato l’italian way del bere naturale e retrò. Anche con bibite da noi ormai introvabili, come il rabarbaro bevanda gassata, negli States si è affermata l’abitudine a bere questi soft drink col tricolore sul tappo. Italianietà che sembra aver permeato anche la multinazionale n. 1, Coca Cola Hbc Italia, che da sei anni ha lanciato da noi il Fanta-Chinotto”.
L’amministratore delegato della Lurisia, Alessandro Invernizzi, parla di “primavera del chinotto”. All’inizio dell’anno, precisa da Roccaforte Mondovì (Cuneo), “avevamo messo a budget per tutto il 2009, una produzione di 600.000 bottiglie del nostro chinotto senza conservanti né coloranti. Al 30 luglio, i dati di vendita superano i 2,5 milioni di pezzi. Mi trovo così a gestire un problema che tutti vorrebbero avere: eccesso di domanda, sia dalla distribuzione tradizionale che da due gruppi della Gdo del Nord Italia, nonostante un prezzo di 30 centesimi in più della Coca Cola.
Fortunatamente, anche il valore percepito dalla clientela, così come da molti chef stellati che abbinano chinotti a selvaggina e brasati, è maggiore, perché i tempi di lavorazione di una multinazionale sono mezz'ora, mentre per il nostro prodotto ci vogliono 45 giorni”.
Fonte: Ansa - Autore: Alessandra Moneti

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