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“Contaminazioni” nel vino: l’allarme degli ambientalisti. Ma gli esperti del settore usano cautela

Fa discutere lo studio Pan Europe sul Tfa, “l’inquinante eterno”. Il commento del Ceev e, a WineNews, quelli di Leonardo Valenti ed Attilio Scienza
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Fa discutere lo studio di Pesticide Action Network Europe sul vino europeo

La sostenibilità è un parametro sempre più importante per aziende e consumatori di tutto il mondo ed in tutti i settori, con il vino che non fa eccezione. Ecco perché ha suscitato qualche preoccupazione la ricerca del gruppo di organizzazioni non governative Pan (Pesticide Action Network) Europe, che ha rilevato un “drammatico aumento di Tfa nei vini a partire dal 2010, mentre questo era totalmente assente in quelli prodotti prima del 1988. I vini, dal 2021 al 2024, mostrano livelli medi di 122 microgrammi per litro, con picchi oltre i 300 microgrammi per litro” in tutto il continente europeo. Il Tfa, sigla dell’acido trifluoroacetico, è riconosciuto come “inquinante eterno” e, secondo lo studio “Message from the bottle, the Rapid Rise of Tfa Contamination Across the Eu”, la situazione del vino nel Vecchio Continente sarebbe “preoccupante”.
Il campione scelto dalla Pan raccoglie, al momento, 50 bottiglie, di annata compresa tra il 1794 ed il 2024, da 10 Paesi europei (Lussemburgo, Italia, Ungheria, Croazia, Grecia, Francia, Spagna, Germania, Belgio e Austria), analizzati con la tecnica del “Metodo rapido per l’analisi di pesticidi altamente polari negli alimenti mediante estrazione con metanolo acidificato e Cromatografia Liquida-Spettrometria di Massa in Tandem” dall’Institut Dr. Wagner, un laboratorio austriaco d’analisi accreditato e specializzato in prodotti alimentari di origine vegetale ed animale.
Ma, al netto di un campione statistico che pare non troppo rappresentativo del complesso enorme della produzione di vino, c’è davvero da preoccuparsi ? Secondo il professor Leonardo Valenti (agronomo e docente all’Università di Milano), intervistato da WineNews, lanciare uno stato d’allarme per il vino europeo è una “affermazione un pochino forzata. È necessario un ulteriore approfondimento su questo studio”, mentre, secondo il professor Attilio Scienza, tra i massimi esperti di viticoltura ed enologia, “conviviamo da sempre con queste sostanze. Le tecniche analitiche si sono affinate e sono in grado di scovare anche le più leggere presenze di sostanza: serve attenzione - dice - perché è facile montare scandali su queste molecole”. Anche il Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), che, sul tema della contaminazione di acque e suoli del Vecchio Continente, condivide la “preoccupazione, impegnandosi a contribuire in modo costruttivo alla discussione” si è detto scettico sul campione “limitato” utilizzato, in particolare, per questo studio sul vino. Sebbene il Tfa non sia mai, almeno storicamente, stato considerato un pericolo per la salute (anche se sembrerebbe, secondo degli studi, essere collegato a potenziali problematiche di natura riproduttiva), dall’anno scorso l’Efsa (European Food Safety Authority), agenzia dell’Unione Europea che funge da fonte imparziale di consulenze scientifiche per i gestori del rischio e svolge attività di comunicazione sui rischi associati alla filiera alimentare, ha cominciato a rivedere i valori di riferimento basati sulla salute per questo composto.
“L’acido trifluoroacetico - spiega la Pan - è un prodotto di degradazione altamente persistente di alcune sostanze chimiche fluorurate, in particolare di pesticidi con Perfluoroalchili (sostanze perfluoroalchiliche o Pfa) e dei gas fluorurati (spesso utilizzati nella refrigerazione per la conservazione dei prodotti e, sempre più, in agricoltura). Una volta rilasciato non può essere scomposto da processi naturali e quindi si accumula inevitabilmente nell’acqua, nel suolo, nelle piante e persino nel sangue umano”. La richiesta che l’organizzazione muove, quindi, è quella di mettere immediatamente al bando l’utilizzo di Pfa e dei gas fluorurati, stilando un programma completo per il monitoraggio dell’acido trifluoroacetico nei prodotti alimentari ed un nuovo approccio normativo precauzionale che tenga in considerazione le significative lacune nei dati tossicologici e nei potenziali rischi che questo comporterebbe per la salute pubblica, compresa quella dei bambini. “A seguito della presenza ubiqua, ed inaspettatamente alta, di Tfa registrata nelle acque del continente, il vino è stato scelto come oggetto di questa investigazione perché nessun altro prodotto agricolo offre i raccolti degli ultimi decenni con tanta reperibilità e con un così buono stato di conservazione - spiega la Pan - il passo logico successivo, essendo che l’acqua è necessaria per la sopravvivenza di tutti i viventi, è stato quindi misurare se, e in quale misura, questo inquinante chimico fosse in grado di accumularsi all’interno dei prodotti di origine vegetale”. Perché, oltre alla presenza nelle bottiglie, c’è il tema della contaminazione di suoli ed acque che, come sottolinea anche il Ceev, Comitato che rappresenta le aziende vinicole dell’industria e del commercio nell’Unione Europea (e che riunisce 25 organizzazioni nazionali tra cui Federvini e Unione Italiana Vini - Uiv), “è sicuramente preoccupante dal punto di vista sociale ed ambientale, e merita seria attenzione a livello globale. Il settore del vino - continua il Ceev - condivide questa preoccupazione e si impegna a contribuire in modo costruttivo a questa discussione”. Nonostante il Comitato europeo di settore abbia definito come “limitato” il campione di vini presi in considerazione nello studio (dei 49 vini selezionati per l’analisi, in rappresentanza di un arco temporale di 50 anni, ben 18 di questi provengono dall’Austria), ed evidenziato come la presenza di Tfa nelle acque d’Europa fosse già stata più volte ben documentata in analisi precedenti, il Ceev sottolinea che “il settore del vino garantisce il massimo impegno per la sostenibilità, come dimostrato anche dal significativo calo nell’impiego di pesticidi ed il costante aumento di acri dedicati a vigneti biologici in tutta Europa ed è pronto a collaborare con la Efsa nella revisione dei valori tossicologi di riferimento per il Tfa. Supportiamo pienamente la definizione di una valutazione scientifica del rischio e di approcci per la regolamentazione basati sulla scienza”.
Ma, come detto, approfondendo il tema, la portata dello studio sembrerebbe troppo amplificata rispetto alla realtà. “Ho qualche dubbio su queste affermazioni, perché mi sembrano un pochino forzate. Sull’acqua è stato fatto un importante lavoro di ricerca, anche in Veneto, ma nel caso del vino mi sembra un tema quantomeno da approfondire, sul quale sono scettico - dice, a WineNews, Leonardo Valenti - la vite è selettiva nell’assorbimento delle sostanze e, anche se assorbisse il Tfa insieme a dell’acqua contaminata, guardando ai suoi processi di lavorazione, una volta raccolta l’uva c’è un primo abbattimento con la fermentazione, che elimina praticamente di tutto: già qui i residui degli antiparassitari vengono quasi totalmente eliminati. Detto questo non penso che il vino, come prodotto, possa essere coinvolto in una situazione di questo tipo, ma che piuttosto sia una problematica legata a dei territori che soffrono particolarmente questo tipo di contaminazioni. Mi parrebbe strano che ci siano queste enormi concentrazioni di sostanze all’interno dei vini, anche se, alla fine, sono cose che vanno toccate con mano. Ho sempre la sensazione che dietro a queste campagne ci sia una volontà scandalistica e non penso che questo studio abbia una base scientifica solida”.
Una cautela, quella del professor Valenti, ribadita anche dal professor Attilio Scienza, che, interpellato da WineNews, ha spiegato che “è importante sottolineare come quello che è successo in questi anni ha evidenziato come abbiamo da sempre convissuto con queste sostanze. Le tecniche analitiche si sono così affinate e perfezionate che riescono a trovare anche tracce infinitesimali di sostanza, che non hanno un valore, per così dire, patologico e che non nuocciono quindi alla salute, sebbene siano presenti. Anche dove agricoltura e viticoltura sono biologiche troveremmo impurità da zolfo, rame e molti altri elementi riconosciuti come dannosi per la salute, ma ne troveremmo di simili anche nell’acqua che beviamo, che di conseguenza sarebbe altrettanto pericolosa: non è una questione di vino, di verdura o di frutta. Dobbiamo stare molto attenti - sottolinea il professor Scienza - perché si può facilmente montare uno scandalo su queste molecole. Possono avere effetti importanti? Sì, se vengono assunte in modo continuativo o se vi si è magari esposti in maniera prolungata, ma che, in caso contrario, sono sciocchezze: sono solo un modo per mettersi in mostra, una sorta di “narcisismo scientifico”. Io sono convinto che questi risultati siano frutto dell’innovazione e del progresso della scienza, ma il mio è un parere, non ho competenze sul tema, nello specifico. È la percezione di una persona che per lungo tempo si è occupata di molecole chimiche e di analisi e che quindi ha un’idea di cosa voglia dire, oggi, disporre di strumenti come gas-massa, spettrometri di massa, di Risonanza magnetica nucleare (Nmr) ed altre attrezzature sofisticatissime, in grado di rilevare anche la più minuta particella e la più scarsa presenza di sostanze. Da qui a dire che queste sono molto pericolose, però, ce ne vuole: non è una correlazione così diretta”.

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