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Corriere della Sera

Le donne della Vite. Il vino di Valeria è femminile plurale … Da 6 anni Fasoli guida un gruppo di oltre 150 socie (“e soci”) per valorizzare le lavoratrici del settore. Non solo imprenditrici ma trattoriste, sommelier, agronome. Il sostegno al progetto “Casa di Anita” in Kenya... “I fili per esempio”. Mentre spiega cosa significa “pensare anche all’estetica di un vigneto”, Valeria Fasoli snocciola esempi illuminanti per i non addetti ai lavori. “Sembra un dettaglio secondario ma non lo è: utilizzare semplici fili di sostegno delle viti in acciaio inox è ben diverso dal cercare materiali e tinte che non facciano a pugni con l’ambiente circostante”. Mimetizzare tiranti e pali che sono l’impalcatura delle vigne significa incastonarle meglio nel paesaggio e disturbare meno gli animali che lo popolano. “Si può essere efficienti senza per forza avere l’aspetto di un polo produttivo con capannoni sforna-bottiglie. Vale per gli alberi da non estirpare, per le pievi che si possono conservare...”. Anche da qui passa un cambiamento di paradigma. “Il settore vitivinicolo è spesso un po’ rude, concentrato sul lato operativo. Cerchiamo, in modo costruttivo, di portare un punto di vista nuovo”. Che è femminile. In un contesto a larga maggioranza maschile. L’associazione Donne della Vite nasce con una peculiarità: rappresentare e valorizzare “dal basso” le lavoratrici, “dalle trattoriste alle ricercatrici, dalle sommelier alle agronome, dalle comunicatrici alle titolari di aziende che sono diventate tali dopo avere fatto questo percorso”. Se il soffitto di cristallo è stato incrinato sul versante imprenditoriale, con donne alla guida di grandi etichette che non sono più una rarità, “qui, dove l’impiego è anche una necessità, la strada da fare è tanta”. Milanese, 55 anni, nata in una famiglia di commercianti “che nulla aveva a che fare con l’agricoltura”, Valeria Fasoli dopo gli studi al liceo scientifico ha scelto la facoltà di Agraria e un dottorato di ricerca alla Statale di Milano, poi un master in Analisi sensoriale alla Cattolica di Piacenza. Approda sul campo in Oltrepò pavese e in seguito passa a una grande azienda toscana dove dirige il comparto tecnico agronomico. Oggi vive tra Firenze e Siena ed è libera professionista. “Ero un’adolescente in vacanza nel Chianti ma già sapevo che avrei voluto trascorrere la vita lavorando nella natura”. Da sei anni nel tempo libero (e non solo) guida l’associazione che unisce in tutta Italia più di 150 socie (“e soci, abbiamo tanti anche uomini tra i sostenitori”). L’origine è descritta nel manifesto del gruppo: “Una città qualunque, ore 14 di un giorno qualunque. Partite da luoghi diversi, non solo geograficamente, ci siamo date appuntamento in un wine bar: stanche, con mille cose ancora per la testa e ancor più cose da fare, oltre che chilometri da percorrere. Treni e autostrade non ci hanno scoraggiate. Siamo donne le cui esistenze girano intorno alla vite e al vino. Vogliamo unire le nostre energie, visioni, sensibilità e competenze non per contrapporci al mondo maschile ma per dare maggiore visibilità al nostro valore aggiunto”. Il loro punto di vista è stato vissuto “per lungo tempo come esperienza al singolare. Non proprio al centro ma sempre, in un certo senso, con un piede sul margine”. Qui l’intuizione: “Ci sono cose che dai margini si vedono meglio”. Oggi declinano il proposito in diversi filoni. L’estetica, come detto, “che è anche un modo per incentivare la sostenibilità ambientale”. Il sociale, “lato importantissimo. Tra i progetti, “DiVento”: ogni anno produciamo bottiglie le cui vendite vengono devolute alla onlus milanese Amani e alla sua Casa di Anita, che in Kenya permette a 35 bambine di studiare. C’è chi mette a disposizione il vino, chi dona i tappi e le etichette”. Per un “Dolceanita” (nel 2022 uno spumante dolce aromatico Oltrepò pavese doc) la richiesta al pubblico è almeno 10 euro. I risultati non mancano: le Donne della Vite finanziano quasi il 20% dei costi annuali della casa africana.
Un modo solidale di declinare la “protezione” delle figure femminili che, nello stesso settore vitivinicolo, resta un caposaldo: “Valorizziamo le operatrici. Tra le vigne ci sono tante donne: svolgono le attività più umili, come la raccolta, fino a quelle direttive. Abbiamo anche trattoriste che guidano macchinari che si pensano riservati ai soli uomini». “Fare emergere” è un imperativo, anche sul versante scientifico: “Le ricercatrici talentuose ci sono. Eppure spesso se si cerca un relatore a un convegno la scelta cade sui colleghi. Il lavoro da fare è molto: noi ci siamo”.

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