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Corriere della Sera

I timori per vino e automotive La leader studia la fase due e punta alla “difesa” europea … Attutito il colpo dell’accordo, preso tempo per commentare nel merito e glissato sugli aspetti più rischiosi della trattativa, Giorgia Meloni si prepara alla fase due della guerra dei dazi. Consapevole che ora bisognerà strappare centimetro per centimetro delle aree tax free all’interlocutore americano. Ecco perché assume una coloritura più articolata quel “ci sarà da battersi” pronunciato ieri dalla premier italiana ad Addis Abeba, prima di andare a co-presiedere il vertice Onu sulla sicurezza alimentare. Impegno che le ha consentito di sottrarsi a commenti più incisivi sulle parti meno presentabili della trattativa: “Non ho sentito ancora von der Leyen perché sono qui”, ha detto ai giornalisti. O ancora: “Non conosco i dettagli e quindi non so esattamente a cosa ci si riferisca quando si parla di investimenti, acquisto di gas... Non sono in grado di valutare finché non ho i dati chiari”. Chiuso il vertice, però, si aprirà il dossier su come proteggere i nostri prodotti più pregiati. A cominciare dalla farmaceutica, ma anche la componentistica. E naturalmente agroalimentare e vino. L’allarme tra gli imprenditori è alto. Al momento più sul vino che su altri prodotti fondamentali della filiera food: pasta, olio di oliva, aceti, formaggio. E forti pressioni vengono al momento fatte su Sefcovic per tutelare il vino, su cui batte anche la Francia. Meloni ha annunciato possibili interventi per i settori più colpiti. Cassa depositi e prestiti ha fatto una stima e dalle prime analisi si potrebbe arrivare a un danno di “soli” 4 miliardi (mentre Confindustria stimava 23 miliardi). Cifra che, spiegano fonti del governo, non sarebbe insostenibile. Ma l’esecutivo esclude interventi sui conti, piuttosto pensa a una rimodulazione dei fondi del Pnrr, del valore di 14 miliardi, e del patto di Stabilità oppure alla riprogrammazione dei fondi di coesione. Di manovra correttiva non se ne parla, tagliano corto in ambienti governativi: non ha senso, spiegano, inserire nella finanziaria di quest’anno stanziamenti per contributi che devono essere ancora decisi. Non prima che l’accordo Usa e Ue sui dazi sia pazientemente definito settore per settore. Si dovranno poi valutare gli effetti reali sui singoli comparti. Per fare tutto ciò, insomma, servirà tanto di quel tempo da rendere superfluo un intervento sui conti dell’anno scorso. Meloni ne ha discusso ieri per tutto il giorno con il vice premier Antonio Tajani, che ha annunciato l’istituzione di una task force permanente sui dazi alla Farnesina. E se Matteo Salvini non ha rinunciato a lanciare bordate all’Ue, da Palazzo Chigi assicurano che “la maggioranza è compatta come sempre”. La strategia viene concordata anche con il ministro dell’Economia Giorgetti, che prima di commentare vuole capire come la trattativa inciderà sulle categorie. “E ancora troppo presto”, ripete come un mantra chi lavora al dossier: “Bisogna attendere i dettagli, che detta gli non sono”. E aspettare gli esiti della trattativa sulle esenzioni. Anche perché sfuggono gli effetti a catena, quelli indiretti: la strategia di Trump ha agito penalizzando anche altri attori del commercio internazionale, a cascata ci saranno influenze non facil mente prevedibili su import ed export. Ma c’è un punto che preoccupa particolarmente: la richiesta di investimenti negli Usa per alcuni settori, a cominciare dalla farmaceutica. Se può essere relativamente facile per alcune merci attivare linee di produzione in America, per un settore così, con laboratori, ricerca e macchinari, è molto complesso. Per l’automotive è altrettanto complicato. Ma la premier non intende agire da sola. “La strategia di difesa dei nostri asset deve essere europea. Non solo con semplificazioni, rafforzamen to della promozione internazionale e tutela dei nostri prodotti”, dicono dall’inner circle della premier. “Noi proporremo di fare tutto ciò che si può immaginare insieme. Tutto quello che è necessario, come diceva qualcuno, dovrà essere fatto”.

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