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Corriere Della Sera / Economia

Il meglio: "Lo chiamavano Trinità". Di vini. La toscana "Rocca delle Macie" fu creata da Italo Zingarelli ... Il complimento più bello lo ha fatto involontariamente l’enologo di Rocca delle Macìe, Luca Francioni. Da ragazzo quando si trovava a Castellina in Chianti non poteva fare a meno di guardare verso la collina dove quel podere lo faceva sognare. Oggi è lui l’enologo di questa azienda voluta dal produttore cinematografico Italo Zingarelli ventisette anni fa. Pian piano l’”inventore” di “Lo chiamavano Trinità”, con relativo lancio della coppia Bud Spencer e Terence Hill, ha cullato quel desiderio diventato realtà: acquistare della terra dove poter realizzare dei cru indimenticabili. Il borgo, risalente al quattordicesimo secolo, si chiamava in origine Le Macìe ed era, a fine ’73, in stato di quasi abbandono. Il buon Italo s’innamorò di quel luogo e volle aggiungere qualche cosa di suo, che rimanesse nel tempo. Notò che i contadini del posto disponevano, lungo la campagna, veri e propri ammassi di pietre per delimitare i poderi. Macìa, nel dialetto toscano, significa appunto comulo di pietre, e Zingarelli non ci pensò due volte, chiamò la sua proprietà Rocca delle Macìe. Oggi, a due anni dalla scomparsa del produttore, è suo figlio Sergio, una laurea in economia e commercio, il principe di questa tenuta. “Ricordo il legame tra mio padre e Bud Spencer, alias Carlo Pedersoli, spesso qui, in visita da noi, sorpreso e ammirato per la volontà con cui si portava avanti il progetto”. Zingarelli senior non ha fatto in tempo ha vedere tutti i progressi, ma quei cru sognati oggi sono realtà. Gli ettari sono duecento e le bottiglie prodotte sono circa quattro milioni e mezzo per un giro d’affari di 40 miliardi. Difficili da trovare questi vini, perché quasi il sessanta per cento viene esportato con punte in America, Germania e Giappone. La gamma è di quelle da fare invidia: tre etichette non facili da dimenticare. Il “Roccato”, composto di uve Sangiovese e Cabernet Sauvignon, tannini morbidi e palato elegante, è un Supertuscan che compete con il “Ser Gioveto”, un Sangiovese in purezza, forse meno concentrato, ma di notevole impatto gustativo. Come se non bastasse, in questo ideale tris si inserisce di prepotenza la “Riserva Fizzano”, un Chianti classico di rara eleganza. “Fare il vignaiolo mi riempie di orgoglio – ammette Sergio Zingarelli – per me ogni bottiglia racchiude amicizia e vuol dire familiarità”. Giovanna Ralli e Ricky Tognazzi confessano la loro debolezza per questi vini che sono comparsi anche nelle cene al Quirinale. Il cammino tuttavia è ancora lungo. Anche Sergio culla un desiderio: fare poker di vini con un Morellino con le uve della tenuta di Campomaccione, 25 ettari in provincia di Grosseto, nella zona Doc del Morellino di Scansano. “Sono in produzione nuovi impianti e saremo pronti con la vendemmia del 2003, l’uscita prevista è di 150 mila bottiglie”. In cantiere anche un bianco, “robusto, grasso e non passato in legno”, dice Zingarelli, chiamando in causa per l’occasione l’enologo Luca Francioni. In questo angolo di paradiso non poteva mancare il benessere di un relais di campagna. Nella tenuta di Fizzano sono stati realizzati ventuno appartamenti. Le origini di questo antico borgo risalgono all’anno Mille. Il restauro ha valorizzato le architetture rurali ora accompagnate da un tocco di sobria eleganza. Le sorprese non finiscono qui, a Rocca delle Macìe si produce anche olio extravergine e miele. Un impianto di novemila olivi consente la spremitura a freddo di varietà tipiche toscane, Frantoio, Moraiolo, Leccino e Cipressino. Un altro sogno di Italo Zingarelli realizzato dalla caparbietà di suo figlio Sergio.

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