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Corriere Della Sera / Economia

2001, trilogia per Moet & Chandon: l'ultima novità della maison ... Sofismi in Champagne. Il vigneto Moet & Chandon diventa laboratorio e sfida. La maison di Epernay rompe le regole mantenendo tuttavia fede all’identità del prodotto. E’ nata così la trilogia dei grandi cru, tre bottiglie per altrettanti vitigni che normalmente compongono lo champagne: Chardonnay, Pinot Meunier e Pinot Nero. Un azzardo, ma anche la voglia di stupire dopo l’exploit di fine millenio con l’uscita dell’Esprit du Siècle, la bottiglia più costosa del mondo, quaranta milioni, dove sono state assemblate undici annate. “Con questa novità – ammette lo chef de cave, Georges Blanck – abbiamo realizzato prima di tutto grandi vini, secondariamente champagne. Rispetto a questi ultimi sono più concentrati ed espressivi. Non è soltanto un esercizio di marketing, lo dimostra la ridotta quantità di bottiglie, appena quindicimila per ciascun vitigno: con la trilogia Moet vuole esprimere la voglia di ottenere il meglio dalle sue vigne”.
Un virtuosismo, questo progetto, che per le uve base ha utilizzato i tre migliori grand cru della casa. Lo Chardonnay: ricavato nella proprietà storica della famiglia, due secoli di cure maniacali in vigna, a Saran, nella Cotes de Blancs, mettendo in pratica una filosofia consolidata: “Noi qui non dimentichiamo mai di guardare il cielo per immaginare il domani, celebrando la memoria che rende le opere e il piacere degli uomini indimenticabili”. Bollicine eleganti che esprimono note agrumate e sentore di mela. Il Pinot Meunier: ai Champs de Romont, qualche chilometro da Sillery nella Montagna di Reims, luogo magico, offre sentori avvolgenti di frutta candita, forse l’esperimento più interessante della trilogia che fa esclamare a Blanck: “Sorprendente”. Infine il Pinot Nero: dal vigneto dei Re, ad Ay, nella Marne, il più vinoso, con grandi doti di equilibrio e corpo, note di spezie e frutta secca. Identica la lavorazione delle tre uve, dalla fermentazione malolattica ai quattro anni di affinamento sui lieviti, così da consentire la massima espressione di personalità e terroir. “Raramente gli champagne sono stati così vicino alle loro radici”, commenta l’orgoglioso Blanck che ha sostituito nell’ultimo anno Dominique Foulon, chef de cave per ventisei anni in Moet & Chandon, naso assolutamente raro. In passato Krug, Feuillatte, Mumm e Ruinart avevano creato champagne “varietali”, ma nessuno aveva realizzato un prodotto di lusso con grand cru delle tre uve fondamentali provenienti da vigneti definiti. Moet & Chandon fa parte di LVMH, di monsieur Bernard Arnault, il più grande gruppo di beni di lusso del mondo. Leadership in Europa con circa 24 milioni di bottiglie, dispone di 772 ettari coltivati e 28 chilometri di cantine a Epernay dove trovano posto cento milioni di bottiglie. Il fatturato sfiora i 17 mila miliardi.
L’elegante cassetta della trilogia, in vendita a 500 mila lire circa in enoteca, contiene anche una significativa copia della mappa dei possedimenti della maison francese realizzata dal topografo Cassini nel diciottesimo secolo. Bottiglie rare, da collezione, anche se non millesimate, ma sin da ora destinate a far discutere. Sulle etichette, infatti, in questa prima uscita, non compare la data di sboccatura e l’annata. Blanck si affretta a spiegare che le bollicine provengono prevalentemente dalla vendemmia ’96 e sono state degorgiate un anno fa. Questo nulla toglie alla loro bontà e al prestigio del produttore che comunque ha promesso di trovare una soluzione. Blanck scruta il cielo e annusa quell’aria di sfida che lo attende, tutta ad alto livello, con l’altro fuoriclasse di casa, lo chef de cave di Dom Pérignon, Richard Geoffroy, realizzatore della cuvée di prestigio della maison. Un viaggio nel gusto e nella sua sublimazione.

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