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Corriere Della Sera / Io Donna

I migliori anni della nostra Vite. Prendete due gemelle, sospese tra il richiamo alla terra e la fuga nell’arte. Aggiungete una tenuta secentesca. Risultato: una saga familiare dove tutto è accaduto per il vino. Tra passioni brucianti e donne leggendarie. Come loro, Resi e Giusi Perusini, signore dei colli orientali del Friuli ... La torre-cantina non è alta; fai fatica a individuarla venendo da Manzano e salendo verso Colle san Biagio, tra le valli dello Judrio e del Corno fino a Gremogliano. Non l’hanno fatta perché torreggiasse su tutto il resto, sui Colli Orientali del Friuli, tutt’ora dominati dal Castello di Rocca Bernarda, ieri presidio contro l’austriaco invasor e oggi bastione-simbolo di vini mondiali che il mondialismo non riesce ad annacquare. La torre non partecipa a quella gara un po’ medievale, e non solo italiana, tra grandi etichette, di costruire cantine sempre più stupefacenti, spesso orrende, anche se griffate, e stranamente tollerate dagli ambientalisti.
No, questa torre, tutt’altro che babelica, è invece servita, come un’autobiografia, a mettere ordine all’esistenza di chi l’ha voluta; a fissare il perno di una storia, quella che intreccia i destini della famiglia Perusini, tanto simbolica per questa terra appartata e schiva da raccontarsi attraverso una specie di “antiobelisco”: prezioso all’interno, proprio come le case friulane. Dalla cima, e fino alla barriqueria giù sottoterra, l’attraversa un pendolo di Focault, un filo oscillante d’acciaio che pare tenere insieme il cosmo alla vigna, le radici e le generazioni alle stelle. Mentre le pareti sono decorate dalle pitture murali di Leon Tarasewicz, polacco che ha tirato pennellate di filari con i colori che impastano la vita e le stagioni.
“Mi è servito per capire perché alla fine mi sono ritrovata qui a produrre vino, nonostante tutto” dice Teresa (detta Resi) Perusini, che infatti è anche docente di Storia della tecnica artistica a Ca’ Foscari e una delle più brave restauratrici di scultura lignea in circolazione. Resi ha una sorella gemella, Giusi, professore associato di restauro all’università di Udine. “Tutte due ci ribellammo a papà che non concepiva per noi altro dovere che la terra. Fu una fuga. E poi ci fu il ritorno” dice Resi. Dopo un rapido giro per l’azienda e sulle colline dove ha pure impiantato residenze agrituristiche, la Resi mi fa sedere sotto il glicine, davanti alla seicentesca casa padronale. La luce è già color del miele, annuncia la stagione della vendemmia. Resi sa che non sono qui per raccontare il suo vino (da quando, vent’anni fa, Veronelli ha posto i Perusini nel gotha dei cinquanta vignaioli storici italiani, è stata una conferma via l’altra).
La sede storica dell’azienda era Rocca Bernarda, oggi proprietà de l’Ordine di Malta. Fu una donazione in testamento dello zio delle gemelle, Gaetano, che 25 giorni dopo quell’atto notarile, nel 1977, all’età di 67 anni, fu trovato assassinato nel suo appartamento di Trieste, dove insegnava Arti e tradizioni popolari all’università (si devono a lui studi fondamentali sui patti agrari e sui vitigni del Friuli). Era stato in guerra in Africa, era omosessuale e amico di Pasolini. Le indagini non portarono a nulla, tra i sospetti prevalse quello del delitto a sfondo sessuale. Può cominciare da qui, dall’evento più tragico, la saga dei Perusini. Una storia alla Buddenbrook. Che “Io donna” ha pensato di svelare appunto in tempo di vendemmia. Perché tutto è accaduto, nel bene e nel male, per il vino. I due fratelli non potevano essere più diversi.
Incompatibili, nell’azienda e nella vita. Giampaolo, il maggiore, padre di Resi e Giusi, non era portato per gli studi, era cacciatore, amante delle donne, dei cani e dei cavalli. Gaetano, più fragile e inquieto, meno bello, era stato però il prediletto della madre, Giuseppina Perusini. Morta oltre i cent’anni, la nonna delle gemelle è figura femminile leggendaria nel Novecento friulano. Ha raccontato la sua vita in una straordinaria autobiografia (Un secolo nella memoria, L’asterisco editore), dove le pagine più coinvolgenti sono quelle sugli anni della Grande guerra, quando Giuseppina, figlia dell’alta borghesia agraria friulana, perde, in pochi giorni e giovanissimi, marito e cognato.
Il primo, Giacomo, fu agronomo di fama e tra le altre cose riscopritore del picolit, il pregiatissimo vitigno autoctono di cui l’azienda Perusini è pluripremiata produttrice; l’altro, Gaetano, illustre psichiatra e uomo di lettere, collaborò a Monaco con il dottor Alzheimer (difatti il morbo, viene anche chiamato di Alzheimer-Perusini). Giuseppina, dovette abbandonare viaggi, pittura e scultura, per diventare abile donna d’affari. Indusse Gaetano, a suo agio con i libri, a laurearsi in agraria (si diede invece alle lettere), ma chi subentrò al padre fu Giampaolo, il quale, oltre a portare a termine la modernizzazione dell’azienda, selezionò a sua volta uno dei vitigni che danno lustro al Collio e alle cantine Perusini, il ribolla gialla. Esistenze in antitesi: uno con Mussolini e l’altro, Gaetano, antifascista e poi partigiano. “La nonna aveva perso due gemelle, nate morte” racconta Resi.
“Così prima ebbe una dedizione morbosa per il figlio più fragile e sensibile alle arti, poi, con la nostra nascita, ci seguì come fossimo le figlie che non aveva avuto”. Un rapporto, quello della donna con il figlio più piccolo che riporta a Pasolini e al suo legame con la madre. Gaetano vestiva da bambina, Giuseppina si faceva chiamare per nome. “Eppure” ricorda la nipote “era una donna autoritaria e distaccata: quando noi piccole andavamo a visitarla su alla Rocca Bernarda, si faceva anticamera per ore e ci salutava dandoci la mano”. Alle gemelle fece però due regali che segnarono le loro esistenze. A sei anni aprì loro un conto alla libreria Tarantola di Udine, a diciotto consegnò un libretto bancario, con l’impegno di attingervi solo per viaggiare. Sembrava un piano per rinnovare lo scontro tra le due anime della famiglia, terra e radicamento contro passione e fuga. Il padre diede l’aut-aut: o agraria o niente università. Le aveva cresciute come figli maschi. A 14 anni sparavano da dio, a 18 le pagava come trattoriste. Con l’appoggio segreto della madre, una Corner, veneziana, donna solare e allegra, Resi e Giusi scelsero, in perfetta simbiosi, la via dell’arte, E fu rottura.
“Le nostre amiche” dice Resi “lo adoravano, era certamente un uomo di fascino. Ma papà ho imparato ad apprezzarlo con gli anni. Ai miei tre figli cerco di trasmetterne il coraggio e il disprezzo del servilismo. Con loro cerco di essere resistente come lui e dolce come mia madre. La nonna sarebbe orgogliosa che tutto, alla fine, è stato ricomposto. Dopo la laurea mi sono anche diplomata in agraria da privatista”. Alla morte del padre, nel 1987, le gemelle tirano a sorte per le proprietà, nessun dissidio. “La divisione di libri, quadri e dischi è stata più difficile” confessa Resi, la quale, ereditata la tenuta di Gremogliano ha deciso di occuparsi, insieme al marito, l’ingegnere Giacomo Pace, del rilancio del marchio. Con lei dei sessantaquattro ettari della proprietà, quelli vitati sono passati da quattro a quindici, Dei tre figli solo il più piccolo, Michele, pare intenzionato a subentrarle. Non potrà sottrarsi al monito, fatto incidere da Resi sotto il pendolo, nella torre-cantina: Nella concordia le cose piccole crescono, nella discordia le più grandi vanno in rovina. (arretrato di Io Donna - Corriere della Sera del 2 settembre 2006)
Autore: Marzio G. Mian

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