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Corriere Della Sera / Magazine

Per una bottiglia di buon vino ho speso 2.500 euro. Tanti si spacciano per intenditori. Pochi sono. E per il nettare di Bacco fanno follie. C’è chi ha 1.000 bottiglie in cantina (Lamberto Sposini), che una volta l’è bevuto a colazione (Bruno Vespa) e chi, come Renzo Rosso, confessa di aver fatto una follia. Questa per una bottiglia di buon vino ho speso 2.500 euro …Rotondo corposo, asciutto abboccato. Un tempo erano parole maneggiate da una casta ristretta di intenditori di vino. Oggi sono sulla bocca di tutti. Persino al cinema:; Sideways è il primo roadmovie girato per le strade del vino della California. Una delle protagoniste resta folgorata da un Sassicaia dell’88 e cambiare vita. Chissà quanti nuovi impallinati cresciuti fra gli svariati corsi per sommelier e degustazioni avranno la tentazione di seguirla. Eppure il vino rischia di perdere l’anima. Peggio. Di globalizzarsi. E’ questa la denuncia di Mondovino, il documentario, nelle nostre sale da aprile, che in quattro mesi è stato visto da 250 mila spettatori. Un botto. Il regista enologo Jonathan Nossiter ha viaggiato da Napa Valley fino a Volterra. E filmato. Con un intento: mostrare che terrori e cultura contadina stanno morendo. Soffocati da una logica di mercato che appiattisce i sapori e li rende tutti simili. Eppur qualcosa si muove. A Vinitaly, rassegna di etichette non solo italiane, è stato avvertito l’inizio di una nuova filosofia in cantina a favore della tipicità del prodotto. Se la conoscenza è lo strumento giusto contro i barbari, ben venga l’iniziativa del Corriere della Sera che pubblica cinque volumi sul vino … O la giornata nazionale di educazione per il consumo dell’alcol. La scorsa settimana ha portato in classe bottiglie e bicchieri per insegnare ai giovani a bere bene.

«Non ha senso che gli australiani ci vengano a dare lezioni di enologia», si infervora Gerry Scotti. Il presentatore di Passaparola ha un rapporto «atavico» col vino e guai a chi glielo tocca. Soprattutto coloro che hanno il portafoglio pieno e nessuna storia alle spalle. Il sornione della tivù può vantare un pedigrée contadino: «In settembre i miei mi depositavano in campagna con i cugini. Lì i nonni ci affidavano i rami più bassi. Raccoglievano l’uva e seguivano tutte le fasi della vendemmia. Allora le cantine erano ruspanti. Oggi quando visiti un’azienda sembra la Nasa». E incalza «Ho un amico manager che ordina sempre il vino costoso. Siccome mi fa incavolare gli ho organizzato uno scherzo. Gli ho fatto servire una bottiglia riempita col vino che piaceva a me: non barricato e poco invecchiato. Nella mia c’era quella che aveva scelto lui. Abbiamo riso delle ore mentre disquisiva su quanto era buono il suo e pessimo il mio. Ancora oggi non crede allo scambio».

Il patron della Diesel Renzo Rosso non è d’accordo: «Se togli il logo ad un’auto Mercedes o la spacci per una coreana non ha più lo stesso appeal. Quando te ne intendi però, acquisti con 20 euro un vino siciliano che equivale ai 100 euro di una bottiglia più conosciuta». Lui però non bada a spese per il vino: «Follie ne ho fatte tante. L’ultima? Con 2.500 euro mi sono regalato un Cheval blanc del ‘55». Perché quest’annata? «Sto preparando una grande festa per i miei 50 anni». L’uomo che ha costruito un impero grazie ai jeans e che si gioca 100 bottiglie di Don Perignon per una scommessa, si illumina alle sue 7.000 bottiglie: «Etichette e annate che hanno segnato la storia del vino cime il Brunello di Montalcino o un raro Shiraz californiano». Dal ’99 l’imprenditore vicentino è diventato anche produttore di vini. Le sue creature si chiamano (toh, che caso) Rosso di Rosso e Bianco di Rosso: «Ho tagliato il 60% dei grappoli per concentrare la qualità sull’uva rimasta». I suoi vini numerati sono già in una rosa selezionatissima di ristoranti nel mondo. Bruno Vespa non si è mai rovinato per una bottiglia. Ma imbarazzato sì, al ristorante: «Quando mi invitano e devo scegliere cosa bere è una condanna. So quanto è forte il ricarico e mi turba doverlo addebitare ad altri. Il deus ex machina di Porta a porta che ha una rubrica enologica su Capital ricorda volentieri Veronelli: «Un giorno mi accompagnò a conoscere il produttore Giacomo Bologna. Arrivammo alle 7 del mattino. Ci offrì affettati, formaggi e Barbera. Una delle migliori colazioni della mia vita». A Carlo delle Piane il vino fa ripensare all’infanzia con rimpianto. L’attore, nel cinema con Tickets nell’episodio diretto di Ermanno Olmi, da bambino andava in vacanza nelle campagne abruzzesi. «Seguivo la vendemmia, le ragazze con i piedi nudi nei grappoli d’uva, sentivo quel gran bel profumo. Oggi mi fa strano pensare che bevessi quel succo». L’amarcord è ben diverso per Lamberto Sposini. «Mio nonno, contadino, mi diceva: senti quante è buono il vino appena fatto. Era orrendo, però passava per il prodotto più genuino del mondo». Il condirettore del Tg5 scopre i piaceri di Bacco più tardi, grazie ad amici esperti e a buone letture. Poi l’interesse diventa passione. E ora va fiero delle sue mille bottiglie, confessa un debole per il Sagrantino di Montefalco 25 anni di Caprai ed è pronto a stappare un ottimo Cometa per cucinare il risotto: «la differenza si sente». Una differenza la sente pure Antonella Clerici. Ma non nel risotto. «Non potrei mai fidanzarmi con un astemio. Sorseggiare è un piacere, una gioia, un premio, un momento di intimità. Non un vizio». Al vino sono legati anche i suoi primi ricordi professionali: «Ai miei esordi giravo per le piazze presentando Vincantando, il festival della canzone eroica. In quel modo ho scoperto le Langhe, il Monferrato e la splendida Neive. Sai chi presentava con me? Il manager della Juve Romi Gay. Con le cassette che ho registrato potrei ricattarlo!»

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