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Corriere Della Sera / Magazine

Non tollero più i fanatici dell’intolleranza gastronomica. Tra cozze non kasher e amanti del “terroir”, mettersi a tavola può diventare sempre più spesso qualcosa di indigesto. Per colpa degli scontri di civiltà. Ma anche di chi straparla di “tipico”, “goloso” e “sentori da degustare” ... In attesa di istruzioni, tuttavia, anch’io comincio ad avere una serie di intolleranze alimentari, sia pure di genere solo lessicale. Parlando con Massimo Bernardi, autore del più brillante dei blog dedicati al tema del cibo (www.peperosso.info), abbiamo isolato una serie di termini che ormai rischiano di provocare drammatiche crisi di rigetto, simili a vere e proprie allergie. Tra le combinazioni più usurate spicca “degustazione enogastronomia” (tipica delle fiericciole e manifestazioni folck di cui pullula la penisola). Insopportabile poi l’abuso della specificazione “del territorio” per aumentare il valore del prodotto. Persino la pubblicità del vino in tetrapak, nel tentativo di valorizzarlo, lo definisce “del territorio”. E di che cosa mai dovrebbe essere? Se nella versione italiana il termine richiama il linguaggio amministrativo-comunale (“interventi sul territorio”), in quella francese, terrori, usata da alcuni giornalisti, evoca patetici snobismi da gregario. Nel campo del marketing vanno per la maggior parte altre due definizioni, evidentemente ritenute già di per sé capaci di attirare frotte di copratori: una è “tipico”, l’altra, più urticante è “goloso”. Un ritrovo goloso, un pomeriggio goloso, un’idea golosa. Fra gli abusi (anche di copyright) segnaliamo “giacimento gastronomico”, inventato da Veronelli negli anni ’60 e ora sfruttato come sommo accanimento dai suoi eredi primitivi. Infine due termini che si riferiscono al mondo del vino. “Autoctono”, associato in modo automatico a vitigno, quasi a voler far credere che l’essere autoctoni nobiliti il risultato. E “sentore”, il peggiore di tutti: ampio o ristretto, di frutta matura o di brezze erbacee, il “sentore” è il cavallo di battaglia del sommelier poetastro, che lo utilizza per lanciarsi in lirismi raccapriccianti.

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