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Corriere Della Sera / Style

In vino... ars ... Un gallo nero in campo oro. Un sorriso aperto e sincero e una camicia bianca. Riconoscibilissimo, il primo è il simbolo storico del vino Chianti Classico. Il secondo è il riservato e schietto presidente dell’omonimo Consorzio. Cinquantenne fiorentino, Marco Pallanti è un atleta, un amante dell’arte e un enologo. Non necessariamente in quest’ordine. “Le mie passioni vanno di pari passo: lavoro in sinergia nell’applicare l’arte sul territorio, esattamente come faccio con il vino”. Da una parte rugbysta e canoista (è stato campione italiano, adesso lo s’incontra sull’Arno), dall’altra promotore di varie iniziative culturali (ha anche ricevuto un premio per i migliori investimenti nell’arte), e dall’altra parte ancora grande esperto di vini (la Guida del Gambero Rosso gli ha riconosciuto il titolo di “Miglior enologo del 2003”).
Dicono di lui che “rappresenta la nuova classe dirigente che negli ultimi anni ha lavorato per affermare l’immagine del Chianti Classico nel mondo”. Un consorzio che, in cifre, equivale a 70 mila ettari di territorio, oltre 600 soci, 260 mila ettolitri di vino, Chianti Classico of course. Non c’è dubbio; Marco Pallanti ama questi vini. “I preferiti? Ottimi quelli degli anni Ottanta o i giovani. Parecchio tempo fa mi sono innamorato anche di uno Chàteau Margaux del 1982: è stato il mio primo incontro con la fascia alta”. Da più di vent’anni è all’Azienda Castello di Ama.
Tutto casa e lavoro visto che ha sposato Lorenza Sebasti, figlia di uno dei soci fondatori. Tre bambini (Arturo, nove anni, patito della mountain bike, Norma, sette, e Gemma, cinque): “Una famiglia fantastica ragazzi formidabili. Adoro fare il papà”. Legge più trattati di filosofia e meno romanzi, Pallanti; va al cinema a vedere Spike Lee (dai tempi di “Fa’ la cosa giusta”); veste Yohji Yamamoto o Comme des Garons (“minimal ma confortevole con eleganza”). L’opera d’arte che vorrebbe avere? “La prossima” risponde. Ma subito si corregge; “Sono lieto di possedere tutte quelle che ho; difficile scegliere. Forse il primo, Michelangelo Pistoletto, perché ha creduto nel nostro progetto “Ama per l’arte contemporanea”; e l’ultimo artista arrivato, Carlos Garaicoa, perché ha portato unopera straordinaria ridicolizzando i muri che sono stati alzati nel mondo: li ha resi scavalcabili e questo è grande”. Però... “Vorrei un Basquiat. Ma so che non lo comprerò mai: mi piace avere qualcosa che resterà sempre un desiderio”.

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