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Corriere Della Sera

Vino, la rivincita del gusto tradizionale. L’applauso dei critici: «E’ una sfida coraggiosa alla moda». Domani apre il nuovo Salone di Torino, alternativo al Vinitaly. I produttori italiani: addio alla barrique, meglio la botte classica. «Basta con la globalizzazione dei sapori» ... Il futuro del vino è niente barrique e la traduzione in bottiglia passa per i vitigni autoctoni. Almeno in Italia il tempo delle piccole botti di origine francese, utilizzate per l’invecchiamento - le barrique, appunto - sembra passato di moda. Il global wine , il gusto internazionale, segna il passo. I segnali arrivano da Luigi Veronelli, guru del gusto, ma anche fautore per lungo tempo dell’impiego dei piccoli caratelli di rovere. «Quando il legno toglie al vino allegria e anima...», dice il critico. Eppure, eppure: «Sono stato io l’inventore nel nostro Paese dell’uso della barrique , e oggi sono qui a recitare la mia sorpresa, pronto a segnalare le meraviglie che ho scoperto negli ultimi mesi in tema di autoctoni, dal Timorasso dei colli tortonesi, al rosso Casavecchia di Caiazzo, provincia di Caserta, e ancora al Pallastrello, sia bianco che rosso». Quale strada ha imboccato dunque il vino in questo momento particolare ?

BARRIQUE - Un luogo adatto per parlarne sarà il Salone del Vino in programma al Lingotto di Torino da domani a domenica 18. Si potrà riflettere su quella clamorosa scelta che ha fatto Bartolo Mascarello di La Morra, provincia di Cuneo, che per la prima volta, a 75 anni, ha scelto di partecipare a una fiera, come dice lui. Tradizionalista esagerato, il suo Barolo, appena 15 mila bottiglie, matura in botti da 5-10 mila litri, è fatto come lo facevano suo padre e suo nonno, un vino che dura nel tempo, insomma tutto d’un pezzo, aristocratico e austero. Quest’uomo, in primavera, fu pure censurato e messo agli arresti domiciliari, nel nome del vino. Per 24 ore, nella via Maestra, di Alba, fu esposta nella vetrina di una enoteca una sua bottiglia con una provocatoria etichetta: «Non barrique , no Berlusconi». Ecco è tutto qui, il Bartolo, che al Lingotto conta di esserci negli ultimi giorni a causa di un improvviso intervento operatorio. Ma al padiglione 3, stand 510, ci saranno altri due moschettieri piemontesi, Giuseppe Rinaldi e Teobaldo Cappellano, tradizionalisti e no global wine , fino al midollo. «E’ gente che sfida la moda, che ha il coraggio di capitalizzare il proprio vino», dice il critico Paolo Massobrio, autore di un felice volume sulle mille e più cose golose d’Italia.

AUTOCTONI - «Il valore è in bottiglia - aggiunge Massobrio - la barrique migliora senza arte, è giusto battere questo provincialismo. Si gioca a far transitare il vino nelle botticelle, da due a tre mesi, senza considerare che è stupido. Occorre la saggezza del tempo. Se si vuol fare barrique cito il friulano Radicon, che produce un Merlot passato in legno per 14 mesi, splendido. In Italia si è traditi dall’impazienza e da questa esagerata ammirazione per quei quattro-cinque vitigni internazionali». Ma? «Dobbiamo considerare seriamente che disponiamo di 350 tipi di autoctoni censiti. Un esempio? Il Magliocco calabrese, si è scoperto che appartiene alla famiglia del Cabernet, ora mi chiedo perché scimiottare?». Massobrio di recente è stato in California a visitare i vigneti di Bob Mondavi. «Proprio in California, che della barrique si è creato un business , il vecchio Bob ha piantato, di recente, vitigni autoctoni italiani: Barbera, Moscato e Sangiovese». Un segnale.

FILOSOFIA - Al salone voluto da Alfredo Cazzola, imprenditore che, dopo i successi del Motor Show di Bologna, coglie nel bicchiere le grandi potenzialità del vino italiano, ci saranno 810 cantine. La filosofia è sostanzialmente nuova, dice il presidente della Promotor international, e nessuna concorrenza con Vinitaly: «Confronto tra i protagonisti, qui il pubblico entra soltanto su invito e ne sono stati stampati trecentomila. L’obiettivo è la valorizzazione delle tre anime che compongono il settore: la parte agricola, quella commerciale e quella industriale. Lo spazio è per le etichette migliori e quelle emergenti». Il business del vino, in Italia, vale circa 16 mila miliardi di lire (8,26 miliardi di euro). Si producono di media 56 milioni di ettolitri, il 21 per cento della produzione mondiale. Le aziende sono poco meno di un milione, gli ettari 830 mila.

DEGUSTAZIONI - Il Lingotto per quattro giorni sarà wine bar. Ci saranno incontri e convegni. I winetasting saranno 66. Troppi? Veronelli, Massobrio e Hugh Johnson, autore del Libro dei vini , 4 milioni di copie, si trovano d’accordo: «Il vino è il grande compagno della buona tavola». Veronelli è sintetico: «Attenti alle forzature». Massobrio è concreto: «Ho assaggiato il Graticciaia dell’azienda Vallone di Lecce e mi è parso grande, a tavola straordinariamente grande».

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