02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Corriere Della Sera

Gorizia torna all’antico: anfore sepolte per far nascere il vino. Il pioniere Gravner e i suoi seguaci: niente concimi e giare dall’Est ... «Amo questa terra, anche per questo ho detto no ai concimi chimici che creano campagne dopate. Eppoi non sono più capace di bere i vini fatti nell’acciaio». Esterno invernale, sui dolci pendii del Collio orientale. Le vigne sotto la neve, gli attrezzi in cantina. Mentre aspetta i tepori di marzo per la prima potatura, Josko Gravner racconta il suo vino: quello di un produttore testardo e visionario, che propaganda il ritorno alle origini. Dopo aver abbandonato l’acciaio per la barrique, e la barrique per le botti, Gravner s’è messo a fare il vino nelle anfore, come gli antichi: a girare nella sua cantina pare quasi di sentire Terenzio Varrone e Virgilio descrivere le tecniche enoiche dei romani. «Per me il vino è filosofia: le anfore che uso arrivano dal Caucaso, dove nacquero cinquemila anni fa. Ma non sono solo quelle a fare il vino buono. Nei miei terreni da 10 anni non c’è più concime chimico: uso il letame, e ora si rivedono i lombrichi», dice Josko. In molti, adesso, lo seguono sui colli che guardano al quattrocentesco Castello Formentini (sede di un bel museo del vino) a San Floriano del Collio. Adesso che l’idea del ritorno alle vigne senza diserbanti e antiparassitari è il manifesto della viticoltura biodinamica lanciato in giugno a Bordeaux, e rivisitato da Luca Gargano, grande importatore di vino. Gargano propaganda le tripla A: agricoltura, artisti, artigianato. Con il motto «AAA vino vero cercasi» raduna produttori che bandiscono la chimica in vigna, i lieviti selezionati e l’anidride solforosa, rispettando i cicli naturali della vite. Ma Gravner, contadino cinquantenne che legge Plinio e Columella («duemila anni fa già avevano capito cosa fare in agricoltura»), rifiuta i consorzi («celano interessi»). Eppure a due passi dalle sue vigne, alte a lambire i boschi sul confine, sono tanti i «visionari» come lui. In un tour dei vignaioli ribelli, in località Tre Buchi, andiamo a vedere le gigantesche botti in rovere di Slavonia da 30 ettolitri di Stanko Radikon. Sempre ad Oslavia c’è La Castellada di Giorgio e Nicolò Bensa . E appena fuori, accanto al sacrario militare con le spoglie dei caduti del 1915-18, ci sono i 6 ettari di vigna di Dario Princic: «Dal 1988 non uso chimica, gli insetti si mangiano fra di loro». Di qui la vista spazia sulla vallata dell’Isonzo. Scesi a Piuma e traversato il Ponte del Torrione raggiungiamo Gorizia. Vista da piazza Vittoria, con il colle e il Castello che la dominano, la città divisa dall’ultimo muro d’Europa pare una piccola Praga. Nelle campagne intorno continua la «rivoluzione» dei viticoltori. E l’ambientalismo contagia perfino i «grandi». Nella Tenuta Ca’ Bolani dei fratelli Zonin (500 ettari, la più vasta del Friuli) non si usano più antibotritici, e in 30 ettari sono scomparsi i diserbanti. Chi ha detto che solo i piccoli possono fare vino sano?

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su