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Corriere Della Sera

Ecco l’università del gusto 500 candidati per 65 posti. L’università inaugurata a Pollenzo è dedicata allo studio dell’enogastronomia ... «Sembra Cambridge», ha esclamato il ministro Letizia Moratti, l’altro ieri, alla vista del complesso di Pollenzo (nell’omonimo borgo, frazione di Bra), riportato a nuova vita e a nuova storia. E Carlin Petrini, guru di Slow Food, padre del grande progetto enogastronomico, ha gradito. L’allusione alla prestigiosa Università straniera, infatti, coglie nel segno. E non è soltanto un fatto di estetica. L’impianto medioevale a curtis (già appartenente all’abbazia benedettina di Novalesa), che fu nella prima metà dell’Ottocento il Centro economico-finanziario della tenuta agricola di Carlo Alberto, (qui, per inciso, nacque il Barolo, con l’apporto dell’enologo di Casa Savoia, generale Francesco Staglieno), l’insieme degli edifici restaurati e ristrutturati con sapienza, certo, richiamano alla memoria il campus inglese. «Ma - spiega Petrini - ciò che più conta è l’attrazione internazionale della neonata Università di Gastronomia. L’unica al mondo, nel suo genere». «Essa affronta la materia nella sua multidisciplinarietà - osserva -. Riscattandola dal folklore, elevandola a dignità di vera scienza. Come già intuì Brillat-Savarin, fondatore della Gastronomia moderna, nel saggio "Fisiologia del Gusto"». Risultato: il ministro dell’Istruzione è arrivata a Pollenzo per conferire il riconoscimento ufficiale dell’Università di Scienze gastronomiche. Il primo corso di laurea in Gastronomia partirà il prossimo 4 ottobre; ed è in cantiere il corso di Agro-Ecologia, che punterà sull’economia primaria, cioè quella degli agricoltori. La Casa-madre dell’Ateneo è Pollenzo, ma, in tandem, è attiva la sede-bis di Colorno, nei pressi di Parma. Dove si terranno vari corsi di specializzazione. «Non è una scuola di cucina - puntualizza Petrini -. Anche se, ovviamente, la possono frequentare gli chef, gli aspiranti-chef e i ristoratori. Con la laurea in Scienze gastronomiche si punterà a diverse professioni, nel campo dell’educazione alimentare, della comunicazione, del marketing agro-alimentare e d’altro ancora, forti di una solida preparazione di base, e di competenze specifiche». L’Università di Pollenzo non ha ancora aperto i battenti, ed è già un successo. Cinquecento candidati-allievi di tutto il mondo si sono fatti avanti partecipando alla pre-iscrizione - tramite Internet - per ottenere l’ingresso. I posti disponibili, il primo anno accademico, sono 65. Buona pate degli studenti selezionati saranno stranieri. Lingue ufficiali dei corsi l’italiano e l’inglese. Il costo annuo di frequenza è di 19.000 euro. Include l’alloggio, il vitto, i viaggi-stage in Italia e all’estero. C’è un budget stanziato per le borse di studio ai meno abbienti. Altri contributi arriveranno da Fondazioni bancarie e gruppi sostenitori. L’Università è, di sicuro, il punto di forza del progetto-Pollenzo. Ma, nello stesso complesso, l’Agenzia comprende altro: un albergo a quattro stelle, un ristorante (nato dalla fusione di due realtà della gastronomia piemontese, «Guido» di Costigliole d’Asti, e la «Noce» di Volpino/Torino), la Banca del vino, ubicata nei sotterranei dell’edificio sabaudo. Qui vengono stoccati i prodotti delle più importanti firme dell’enologia piemontese e nazionale. Un museo del vino d’eccellenza. Al momento, nella Banca sono conservate circa 50 mila bottiglie (valore, un milione di euro), ma, a regime, si arriverà a uno stoccaggio di 200 mila. Che dire ancora? L’Agenzia di Pollenzo spa è una società a capitale misto pubblico-privato, con 316 azionisti. I contributi pubblici fondamentali provengono dalle Regioni Piemonte (il presidente Enzo Ghigo, da anni, sostiene Slow Food) ed Emilia-Romagna. Coincidenza vuole che la prima sia amministrata dal centrodestra, la seconda dal centrosinistra. «Ci muoviamo sui progetti, non sul colore politico», taglia corto Petrini. Il cuore del guru batte, notoriamente, più a sinistra. Ma, guarda un po’, il ministro delle Politiche agricole, Gianni Alemanno (An), nutre nei suoi confronti profonda stima. Ricambiata.


I tre volti dell'ateneo ndi Pollenzo

L’Agenzia - La sede della nuova università di Scienze gastronomiche è l’Agenzia di Pollenzo. Il complesso si estende su un’area complessiva di 38 mila metri quadrati, di cui 11.500 occupati dagli edifici. Il capitale sottoscritto per l’apertura dell’ateneo è di 20 milioni di euro (il 74% versati da soci privati e il 26% da soci pubblici, di cui il 23% provenienti dalla Regione Piemonte).

La Facoltà - L’università di Scienze gastronomiche aprirà i suoi corsi il 4 ottobre. Finora sono state raccolte 500 preiscrizioni, provenienti da 26 nazioni diverse (in testa Stati Uniti, Svizzera, Brasile, Giappone, Germania). I posti disponibili per il primo anno accademico sono 65, gli esami previsti per il triennio 26. I soci fondatori sono Slow Food, Regione Piemonte e Regione Emilia-Romagna.

La Banca - Nello stesso progetto è stata inserita la realizzazione di una Banca del vino che ha fino ad oggi coinvolto 616 soci. La quota associativa (vitalizia) è di 250 euro. I produttori rappresentati nella Banca sono 225, le bottiglie stoccate 50 mila. L’obiettivo dei responsabili è di raggiungere quota 80 mila entro l’anno e un totale a regime di 200 mila, per un massimo di 300 produttori.


Lo chef: Carlo Cracco

«Bella idea, ma la scuola dei cuochi è la cucina» ... Manderebbe un aspirante chef all’università? «No di certo. La scuola di un cuoco è la cucina. Il ristorante è la sua università». Non ha bisogno di pensarci Carlo Cracco, 38 anni. Dal 2000 chef del «Cracco-Peck» di Milano, due stelle Michelin. È lo Schumacher dei fornelli. Il suo unico vezzo: il nome sull’insegna scritto all’incontrario. Lei dove ha imparato? «La mia università è stato Gualtiero Marchesi. Sono stato suo allievo, è con lui che ho cominciato». Che idea si è fatto dell’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, appena «promossa» dal ministro Letizia Moratti? «Mi sembra un bellissimo progetto, ma riservato a chi entrerà a lavorare nell’industria alimentare, a livello manageriale, di pubbliche relazioni o di consulenza». E se uno chef decidesse comunque di seguire un corso di laurea? «Il cuoco può anche essere laureato. Ma deve essere soprattutto un cuoco. E impara a esserlo soltanto in cucina, perché è questo il luogo in cui tutto viene trasformato. Lo chef è l’esaltatore finale che sublima la materia prima o, talvolta, sbagliando, la penalizza». Il nuovo ateneo può interessare ai giovani che escono dalle scuole alberghiere? «Temo che si troverebbero svantaggiati rispetto, per esempio, agli studenti dei licei. Ecco, magari bisognerebbe ripensare meglio le scuole alberghiere, estendere a tutti e cinque gli anni, e non soltanto a tre, il percorso di praticantato, dare più tempo per fare esperienza e per chiarirsi le idee». E dopo? «L’idea di una scuola superiore di eccellenza non mi dispiace. Purché abbia un taglio diverso dall’università di Pollenzo. Che, intendiamoci, mi piace molto nella struttura e nell’idea di fondo. Ma non nasce per gli chef».

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