02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Corriere Della Sera

Nelle Langhe del partigiano Johnny dove anche il vino è democratico. Alba, la città che non vuole diventare grande. «Nutella d’inverno e viti d’estate» ... «Alba la presero in duemila il 10 di ottobre e la persero in duecento il 2 di novembre dell’anno 1944». Quando all’Einaudi i signori della cultura italiana ricevettero il dattiloscritto di un impiegato della Marengo Vini, figlio del macellaio di Alba, l’attacco li colpì come una fucilata. E non solo perché non avevano ancora letto quello de «La Malora» («Pioveva su tutte le Langhe. Lassù, a San Benedetto, mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra»), che al confronto uno sparo è una carezza. I 1.800 partigiani mancanti non erano caduti nella difesa, ma se ne stavano alla fiera di Dogliani, «sparavano ai tirassegni, taroccavano le ragazze, bevevano le bibite e riuscivano con molta facilità a non sentire il fragore della battaglia di Alba». Dove altri però morivano, «sotto quel fuoco e quella pioggia», e i comandanti dovettero obbligarli a ripiegare «come le maestre coi bambini delle elementari». Beppe Fenoglio era tra loro. L’anniversario della Repubblica partigiana cade durante la fiera del tartufo, quando Alba sembra tornare il mercato agricolo che era. La sua rivoluzione industriale cominciò subito dopo la guerra, quando un pasticciere, Pietro Ferrero, inventò la crema antenata della Nutella, e il fratello Giovanni cominciò a venderla. Anche oggi c’è un Pietro che fa e un Giovanni che vende. Entrambi sono amministratori delegati della Ferrero, 4 miliardi e mezzo di euro di fatturato, 16 mila dipendenti. Pietro è nato nel 1963, l’anno in cui Fenoglio moriva. «Sono cresciuto a Bruxelles, da bambino venivo qui a trovare mia nonna». Il padre Michele, il vero fondatore, lo sottoponeva a un rito iniziatico. «Mi portava in fabbrica e poi se ne andava di nascosto. Dovevo orientarmi e uscire da solo. Una volta cominciai ad aprire le uova di Pasqua per vedere le sorprese. Fui rimproverato duramente». Ad Alba Pietro ha preso casa quindici anni fa, quando cominciava la seconda rivoluzione, quella del turismo. «È straordinario come in poco tempo la città abbia fatto conoscere ovunque le sue ricchezze più antiche, il tartufo e il vino». In ufficio Fenoglio scriveva le bolle d’accompagnamento dei vini da spedire in America. Era stato assunto perché sapeva l’inglese, imparato sulle pagine di Shakespeare e Coleridge e sulle canzoni di prima della guerra, tra cui la prediletta «Over the rainbow». Non solo i signori della cultura, anche gli albesi lo tenevano un po’ in disparte, come uno fuori dal giro. Balbettava. Non andava in chiesa ed era considerato di sinistra (anche se aveva votato per la monarchia e litigato per questo con il suo professore di filosofia al liceo, Pietro Chiodi). E Alba non è mai stata di sinistra. Anche gli operai della Ferrero votavano Dc, che alle comunali aveva il 50%, con il Pci superato talvolta da Pli e Pri. «È vero, i nostri operai non hanno una tradizione antagonista - racconta Ferrero -. Anche perché molti restano legati alla terra». D’inverno fanno la Nutella, d’estate coltivano la vite. «È stata una scelta di mio padre, organizzare come si fa tuttora un servizio di pullman che prendono e riportano i nostri operai sulle colline. Anche così si è evitato lo spopolamento delle Langhe, quando le nocciole e il vino non erano ancora un affare». Erano le Langhe della Malora e degli irregolari, del lavoro aspro e dei giocatori d’azzardo, dei suicidi e dei campioni di pallone elastico, che tra un colpo e l’altro si infilavano nei calzettoni le banconote degli scommettitori, e talora il rigonfiamento annunciava i punti giocati a perdere. «Mi hanno raccontato molte storie su quei tempi - dice Ferrero -, di quando si vendeva di tutto, anche le pastiglie per trasformare l’acqua in benzina…». «Artista» o «lingera» si chiamavano in dialetto eccentrici e inaffidabili, a seconda se in loro prevalesse l’estro o l’imbroglio. Artista era Pinot Gallizio, farmacista e pittore, che ad Alba aveva inventato l’Internazionale situazionista e la pittura da vendere al metro. «Era il mio professore di erboristeria alla scuola enologica - racconta Angelo Gaja -. Più che lezioni, erano pantomime. Gallizio era andato dai Miroglio», l’altra dinastia industriale della città, l’unico gruppo tessile italiano a non essere mai andato in crisi, «a chiedere i soldi per dipingere la strada per Savona. Miroglio rimase perplesso. Poi gli offrì di provare con le sue stoffe». Oggi in Langa si è trasferito Aldo Mondino, padre della pop art italiana. Spiega Gaja che la vena bizzarra del langarolo non è andata perduta, «ma viene incanalata nel lavoro. Così una provincia del Piemonte schivo e riservato è diventata terra di turismo». Fenoglio oggi non riconoscerebbe le sue colline calme e zitte, sotto un «cielo grigioferro duro e tristo». È tutto un bed&breakfast, un enoclub, un «si affittano camere» anzi zimmer, quest’anno forse meno piene causa crisi internazionale. In via maestra hanno messo i tavolini all’aperto, inconcepibili sino a poco fa per gente abituata a mangiare in casa e al chiuso; e mai le nonne orgogliosamente baffute sarebbero entrate nel centro commerciale che al posto del cinema liberty Corino annuncia «depilazione ascelle 6 euro, inguine 8, baffi 9, totale 26»; tanto quanto un tartufo minuscolo («Palatartufo» si chiama adesso il mercato nel cortile della Maddalena) o una bottiglia di barolo non tra le migliori. Anche il vino è molto cambiato. Bartolo Mascarello si batte contro «le due B», barriques e Berlusconi, considerati il simbolo del male. Bruno Ceretto ha messo per un periodo il suo talento di venditore al servizio della città, assessore al Turismo nella giunta di centrodestra (l’unica volta nella vita che Agnelli andò sulle Langhe fu suo ospite alla tenuta della Bernardina). Poi c’è Angelo Gaja, considerato il più grande e coerentemente il più caro produttore d’Italia, discendente da una famiglia di origine catalana che da due secoli vinifica a Barbaresco. «A parte una sana rivalità - racconta - partecipiamo tutti della particolarità di questa terra. Una sorta di democrazia del vino». In Langa non ci sono gli aristocratici, come quelli con cui Gaja compete nei suoi vigneti di Bolgheri, gli Antinori e i Frescobaldi; qui le dinastie si chiamano Ratti e Conterno, Marcarini e Gagliardo. «I nobili hanno venduto le terre negli anni ’50, per investire nell’industria meccanica, e i contadini sono diventi produttori». Una democrazia familiare: la Ferrero è la più grande azienda italiana a non essere quotata in Borsa, «e le ragioni possono essere comprese meglio oggi che qualche anno fa - sorride Pietro -. Anche se il vero motivo è un altro: vogliamo che i nostri collaboratori possano lavorare con tranquillità a progetti di medio e lungo termine, senza essere giudicati ogni tre mesi». Quando nel novembre di dieci anni fa il Tanaro allagò la fabbrica, «la domenica mattina trovai tutti quanti qui, dirigenti funzionari e quattromila operai, con gli stivaloni e la vanga, a spalare il fango. Venti giorni dopo le macchine ripartivano, la produzione di Natale era salva». Una democrazia conservatrice in cui l’antifascismo non è mai andato in crisi. Scrive Fenoglio che quando il 10 ottobre i partigiani entrarono in città, «qualcuno s’attaccò alla fune del campanone della cattedrale, altri alle corde delle campane delle altre otto chiese di Alba, e sembrò che sulla città piovesse scheggioni di bronzo». Quando il 2 novembre tornarono i fascisti, «andarono personalmente a suonarsi le campane». Pare quasi che la città abbia scelto di restare piccola: mai più che in 30 mila; niente Provincia, niente autostrada per Torino («e aspettiamo la Asti-Cuneo da vent’anni» dice Ferrero). La Democrazia cristiana non ha mai perso il potere: prima il sindaco popolare, ora il sindaco Udc. Città medaglia d’oro della Resistenza, che Fenoglio ha sottratto al mito politico per consegnarla all’epica: «Johnny pensò che un partigiano sarebbe stato come lui, ritto sull’ultima collina, guardando la città la sera della sua morte. Ecco l’importante: che ne rimanesse sempre uno». E sono sessant’anni che all’Einaudi, e non soltanto, aspettano un attacco così.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su