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Corriere Della Sera

Il ricordo - Gli anni con il mio maestro cercando l’anima dei vini ... Ancora una volta mi ha spiazzato. Veronelli, il mio maestro Veronelli, mi aveva sempre detto che sarebbe vissuto fino a 103 anni come la leggendaria contessa Perusini Antonini del Picolit friulano, uno dei primi personaggi del vino che aveva narrato. Prima di togliere il disturbo, diceva, avrebbe bevuto come viatico per l'aldilà un Porto Vintage bicentenario, che gli ricordava una notte d’amore. Invece è andato via in fretta. E’ stato una sorta di Cristoforo Colombo del vino italiano, per primo ha scoperto il vino di qualità, cominciando sul Giorno nel 1956 con una intervista a don Nadalutti che ancora coltivava il Pignolo, raro vitigno friulano. Ci diceva di aver conquistato il sacerdote con una risata. Iniziò così, battendo palmo a palmo l’Italia delle campagne, raccontando migliaia di personaggi, nobili e contadini, accomunati dalla passione per la terra e per il vino.
Di quegli esordi di una professione da lui inventata, quella di giornalista enogastronomo, restano memorabili «I vini d'Italia» (Canesi 1961), un atlante ragionato dell'enologia italica, il primo 400 anni dopo il Bacci. E soprattutto le splendide «Guide Veronelli dell'Italia Piacevole», pubblicate da Garzanti dal '67 in poi, che restano forse la sua opera più bella, mirabile affresco gastronomico di un Paese.
Il mio rapporto con lui è stata una specie di nemesi: da ragazzino mi divertivo a guardare sul teleschermo in bianco e nero quel signore con gli occhiali spessi che parlava di cibo e vino e litigava per scherzo con Ave Ninchi, poi ho finito per fargli da assistente e condividere una parte della sua vita irrequieta e controcorrente fatta di battaglie a favore dei contadini o contro i politici che autorizzavano la produzione di vini insulsi. Il suo motto era «piccolo il podere, minuta la vigna, perfetto il vino». Battaglie che in nome suo, io e altri, abbiamo condotto ai tempi del Seminario Veronelli, associazione di studi ispirata ai suoi insegnamenti.
A Bergamo viveva nella splendida villa che fu del Cardinal Testa (motto all’ingresso, Qui bene latet, bene vivit ), un porto di mare dove sono passati tutti, vignaioli e osti d’Italia, per chiedere consigli che lui dispensava. Ma soprattutto la sua casa era una palestra di vita che ho avuto il privilegio di frequentare quotidianamente per 8 anni, condividendo passioni ed emozioni. Aveva un’umanità straordinaria, metteva a proprio agio tutti: anche chi lo vedeva per la prima volta lo chiamava Gino, io no, perché il ragazzo di bottega deve rispetto al maestro, anche se lui non si definiva tale. Un maestro raro che non ti insegnava niente ma ti trasmetteva tutto, non ti obbligava, ti stimolava e ti stava ad ascoltare come e meglio di un padre.
Veronelli ha creato un suo personalissimo stile di scrittura, con un uso funambolico di neologismi e argute citazioni, non imitabile. E poi c’era il confronto davanti al bicchiere. Veronelli è stato tutto tranne che un tecnico, sapeva immergersi nel vino e averne l’anima che magari sintetizzava in un geniale aggettivo. Anche nel vino più semplice sapeva sempre cogliere il buono, incoraggiava spesso e stroncava solo i vini dell’industria.
Negli ultimi anni ci siamo rivisti e nonostante l'età, e gli acciacchi, anziché ritirarsi Veronelli ha continuato a lottare, discutere, provocare. Ogni volta che mi parlava con entusiasmo dei suoi progetti sentivo quella una incredibile energia, al suo confronto sembravo un matusa.

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