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Corriere Della Sera

Addio a Veronelli, poeta della terra. E’ morto a 78 anni nella sua casa di Bergamo. Oggi l’ultimo saluto. Con una banda ... Luigi Veronelli se n’è andato, serenamente, a 78 anni. E’ morto, a Bergamo, l’altra sera, nella sua casa in collina dove, fino a dieci giorni fa, aveva lavorato: lucido, vulcanico, con mille idee ancora da realizzare. Avrebbe voluto anche volare a Roma, il 22 novembre, per la presentazione della sue Guide Oro 2005 ai Vini, Ristoranti e Alberghi. Non ce l’ha fatta, era ormai al capolinea. «Divorato da un tumore al fegato, diagnosticato tre anni fa - dice Mauro Febbrari, medico personale e amico - Tre interventi, l’ultimo a ottobre; Gino si era ripreso, ma era un’illusione. L’ho seguito e curato, non ha sofferto, almeno questo un po’ ci consola», aggiunge. Con la scomparsa di Veronelli, «padre dell’enogastronomia italiana», si estingue la prima generazione dei critici del gusto: Luigi Carnacina, Massimo Alberini, Vincenzo Bonassisi. E anche Gianni Brera (con il quale Veronelli firmò «La Pacciada»), Mario Soldati, tra i più noti giornalisti-scrittori con la passione della buona tavola. Ma Gino, l’anarchico, il filosofo (in gioventù, fu assistente di Giovanni Emanuele Bariè), era davvero un grande. In prima linea, per oltre mezzo secolo, nella difesa dell’agricoltura buona, del vino e dell’olio di qualità, nella valorizzazione dei giacimenti gastronomici italiani. Sua è la teoria dei cru, suo il recupero dei vitigni autoctoni con la vinificazione in luogo, sua l’idea della distillazione «monovitigno». Veronelli, insomma, ha fatto scuola. Ora, il cordoglio per la sua morte è corale - colleghi di militanza enogastronomica, imprenditori, esponenti del mondo politico -, eppure «lui era rimasto solo, abbandonato quasi da tutti», nota Febbrari, con una punta di amarezza. «Per merito di Veronelli, per i suoi consigli - spiega - alcuni produttori hanno avuto successo, e si sono arricchiti. Non l’hanno certo ripagato dimostrandogli gratitudine. Se ne parlava con Gino, poche settimane fa». Nomi? «Non è il caso. Lui, comunque, non serbava rancori. Del resto - continua l’amico - anche le istituzioni non hanno brillato per sensibilità. Uno come Veronelli, in Francia, sarebbe stato, come minimo, senatore. Gli hanno dato l’Ambrogino d’oro, giusto l’anno scorso». Ovvero la massima onorificenza che Milano conferisce ai cittadini benemeriti. Gino la dedicò agli amici del Leonka. Sì, proprio il Leoncavallo, covo dei no global milanesi, dove Veronelli aveva organizzato la Fiera dei Particolari/Terra e Libertà/Critical Wine, inneggiando ai piccoli viticultori legati alle terra, e lanciando invettive contro i mercanti di bottiglie. Gino, che ormai vedeva solo ombre (da tempo era affetto da glaucoma), affabulava i giovani con i suoi racconti di vita e di profumi. Impertinente, alternativo anche in vecchiaia. Autore di molti libri (tra i più recenti «Le parole della terra», «Viaggio in Italia per le città del vino», «Vietato vietare», «Breviario libertino»), Veronelli da anni collaborava al Corriere della Sera, ma scriveva anche su Carta, Libertaria, Veronelli EV, rivista da lui diretta. L’ultimo saluto, stamattina, al cimitero monumentale di Bergamo. La cerimonia civile sarà accompagnata dalla banda degli Ottoni, complesso anarchico milanese, che Gino apprezzava moltissimo.

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