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Corriere Della Sera

Una rivoluzione femminile scopre il fascino della grappa. Com’è cambiata: da liquore degli alpini a distillato d’uva ... La grappa, alcolico (anche) per femmine. Morbido, gentile, sensuale. Conservato in graziose ampolle, firmate dagli artisti del design. L’immaginazione del sottotenente Roero mai e poi mai sarebbe arrivata a tanto. A concepire cioè che la maschia bevanda per contadini e alpini potesse stuzzicare, un giorno, anche le labbra e il gusto delle signore. Era in guerra (la prima del ’15-18), quando Roero - uno dei protagonisti di «Aspettando l’alba» e altri racconti di Mario Rigoni Stern - nascose la sua bottiglia nel baracchino di montagna, «per aprirla quando sarebbero venuti il freddo e la neve, e il sorso avrebbe riscaldato il cuore alla pattuglia e alle vedette». Ma lì rimase per trent’anni, racconta lo scrittore di Asiago, fino a quando, una domenica del 1947, Albino Vu la ritrovò, integra, di profumo ancora intenso. «Posò la bottiglia sulla panca e andò a prendere un bicchiere da una mensola. Versò un dito di liquido, annusò; lo fece annusare anche a me. "E’ proprio grappa buona", dissi». Ma l’amarcord dello spirito bianco , impasto di vita e letteratura, il carburante naturale per gli uomini di campagna e per i soldati in marcia sull’altopiano o in trincea, è finito da un bel pezzo. E’ finito con la rivoluzione femminile, poco più di trent’anni fa. Con l’invenzione della grappa di «monovitigno», ovvero con la distillazione di selezionate vinacce di un un unico vitigno. Merito indiscusso di Giannola Nonino di Percoto, un’inarrestabile signora che ha cambiato la faccia alla grappa, rilanciandola quindi sul mercato. Tanto che perfino i più invidiosi concorrenti della piccola azienda friulana - diventata famosa anche per il premio letterario «Risit d’Aur» - sono consapevoli che la sua opera è stata una benedizione per tutti. Per le distillerie industriali, e per le artigianali come quella della famiglia Nonino: Benito, Giannola e le tre figlie Cristina, Antonella, Elisabetta. Anch’esse dedite all’attività grappaiola, sotto il pungolo dalla onnipresente madre. E il bello è che altre donne, mogli e figlie di produttori, si sono fatte ammaliare dal profumo e dal business del distillato italiano per eccellenza. Qualche nome delle giovani leve: oltre al trio Nonino, Claudia Mazzetti, Luisa Averna, Anna Maschio, Anna Marzadro, Livia Bertagnolli, Cristina Domenis, Silvia Castagner, Antonella Bocchino, Lisa Tosolini. Poteva allora mancare l’associazione delle Donne della Grappa? No, naturalmente. Signore che producono, signore che bevono. In compagnia, a fine pasto, per dire, si fanno un grappino. Pardon, degustano l’acquavite rivalutata e reiventata. O meglio ancora i nuovi distillati di uva, che piacciono molto alle femmine, perché intensamente aromatici e morbidi. Nonostante la crisi, il mercato tiene. La «grappa gentile» (che in verità non è una vera e propria grappa), ottenuta dalla distillazione di uve intere fermentate è il prodotto, più innovativo, che sfonda tra il pubblico femminile. Anche qui c’è sempre lei, l’apripista Giannola Nonino, che nel 1984, undici anni dopo il lancio della grappa di monovitigno, piazzò con successo la sua «Ue» (Uva in friulano), resa ancora più preziosa dalla piccola bottiglia-design in cui era contenuta. E dopo la «Ue» venne la «PrimeUve». Prodotto analogo, firmato da una centenaria distilleria di Gaiarine (Treviso), la «Bonaventura Maschio». Che, sulla scia dei Nonino, entra nel nuovo mondo dei distillati di frutta. Ci entra con tale convinzione, da far diventare, negli anni, «PrimeUve» il prodotto leader dell’azienda. Friuli e Veneto in lizza? «Ma no, c’è posto per tutti - minimizza Anna Maschio, 34 anni, la donna dell’ultima generazione -. Ogni produttore ha il suo mercato e i suoi clienti». E Anna, laureata in lettere antiche, confessa di aver cancellato la passione per l’archeologia, buttandosi in un lavoro, che lei riassume così: «L’ambizione di trasferire in un bicchiere il profumo dell’uva di origine». Ma lunga marcia della grappa, per dirla ancora con gli alpini di vecchia memoria, potrebbe trovare qualche ostacolo. Di traverso, pare ci si voglia mettere l’Unione Europea, ad appannare un altro simbolo del made in Italy. Con la paventata revisione del Regolamento 1576/89 del Consiglio europeo sulle bevande alcoliche. Che potrebbe privare l’Italia dell’uso esclusivo del termine grappa. Va da sé che i distillatori hanno già lanciato il grido d’allarme. Dandosi appuntamento il prossimo 19 febbraio a Perugia, per la prima edizione di Grappitaly . A un convegno, dal titolo lapalissiano: «Grappa, un patrimonio italiano da difendere».

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La grappa è un distillato esclusivamente italiano (lo sancisce il regolamento 576/89 dell'Unione Europea), che si può produrre solo con alambicchi in Italia e materie prime nazionali. Le grappe (ottenute dalle vinacce, cioè ciò che resta dalla pigiatura), o le acquaviti di uva (cioè l’uva fermentata intera), una volta distillate, sono a gradazione piena, che può essere superiore ai 70-80 gradi di alcol. Una volta affinate si diluiscono con acqua distillata per portarle alla gradazione minima commerciale di 40 gradi. Ma ci sono grappe che arrivano a cinquanta gradi come per esempio quella tradizionale di Nardini di Bassano del Grappa. Nonostante qualche riuscito tentativo di alcune distillerie del Centro-Sud, la grappa resta pur sempre un prodotto tipico del Nord Italia e le regioni maggiori produttrici sono per l'appunto Veneto, Friuli, Piemonte, Lombardia e Trentino alto Adige. Numerosissime sono le tipologie di grappe in commercio, che possono essere suddivise in due grandi insiemi: grappe giovani e invecchiate. Per le seconde l'invecchiamento, generalmente in legno di rovere (ma si usano anche altri legni), è di almeno dodici mesi, ma bisogna sapere che per legge è consentito aggiungere del caramello per dare il caratteristico colore ambrato e per ammorbidire il gusto (si può aggiungere zucchero nella misura massima del due per cento). E ciò contribuisce alla distinzione tra grappe secche e morbide. Poi ci sono le grappe aromatiche vale a dire ottenute da vitigni fortemente aromatici come il Gewürztraminer e, il Müller Thurgau, il Sauvignon, il Fragolino, ecc. Non bisogna confondere le grappe aromatiche con quelle aromatizzate, che nascono con infusione di erbe o estratti (liquirizia, genziana, ecc.). I prezzi delle grappe sono assolutamente eterogenei, si va dalla grappa da pochi euro il litro, che si trova nella grande distribuzione, dalla grappa in confezione speciale in cristallo di baccarat in tiratura limitata che costa anche centinaia di euro. Bisogna dire che in molti casi è il contenitore che fa la differenza, e spesso il commercio della grappa è piuttosto indirizzato alla regalistica, cosicché grappe di scarsa qualità spuntano prezzi notevoli perché confezionati in bottiglie «ninnolo» dalle forme bizzarre. Detto questo resta solo da sapere come bere la grappa. Innanzitutto in bicchieri piccoli a calice, di moderata capacità, ad una temperatura mai troppo fredda, né calda, tra i 14 e 16 gradi è l'ottimale, qualche grado in più per le grappe invecchiate in legno. Come abbinarle? Al meglio la grappa si beve per sé sola, per suggellare un degno pasto, ma si può abbinare anche con dolci secchi, con torte non cremose, e sicuramente va benissimo con il cioccolato, che deve essere assolutamente fondente. Sempre con assoluta moderazione.

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