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Corriere Della Sera

Via il sapore di tappo … Francia, cattura le molecole che rovinano il gusto. Una cena non può essere rovinata dal vino che sa di tappo. Questo i gourmet lo sanno bene, ma quei rischi a tavola continuano a esserci. Anzi l’eterna battaglia si è arricchita di elementi nuovi e interessanti. Un biochimico e un enologo francesi, Gérard Michel e Laurent Vuillaume, hanno approntato un kit capace di salvare le bottiglie contaminate. Andrà in commercio dal 1° giugno. Secondo i due ricercatori, i cru attaccati dal cattivo sapore di sughero (pari al 10% delle bottiglie stappate) potranno essere recuperati in un arco di tempo che va dai quindici minuti a un’ora. Tutto avviene attraverso un processo di filtrazione ionica. Nessun intervento della chimica, dunque, secondo quanto svelato dal laboratorio Vect’Oeur, creato in Borgogna per far fronte a cinque milioni di ettolitri di vino che ogni anno vengono eliminati per questo problema. I due francesi sono riusciti a estrarre dal vino stesso la sgradevole molecola, il Tca, noto come trichloroanisole, che origina il fastidioso gusto. Immettendo una fibra, la cui composizione non è stata rivelata, nella bottiglia viene indotta una reazione che elimina le molecole sotto accusa facendo tornare il vino godibile. «Abbiamo lavorato in quello spazio che c’è tra tappo e liquido - dice il professor Michel -. Il nostro kit non viene a contatto con la bevanda. La fibra agisce sull'aria e cattura le molecole dannose». Certo resta da vedere quante persone sono disposte ad attendere un’ora, durante una cena, al ristorante, per riavere la qualità nella stessa bottiglia scelta.
Battezzato Dream Taste, questo kit nasce comunque di fronte allo scetticismo e a una cifra che continua a crescere: un miliardo e mezzo di bottiglie imbevibili, per un danno di 645 milioni di dollari nel mondo. L’eterno litigio tra vignaioli e consumatori sembra poter prender una boccata d’ossigeno con questa nuova scoperta, ma non tutti sembrano cantar vittoria. Elio Altare, produttore di Barolo in frazione Annunziata, a La Morra in Piemonte, ostenta dubbi e perplessità. «Ben vengano queste iniziative, ma io resto fermo sui miei principi: il vino resta comunque contaminato e ha subito una alterazione. Ritengo che ci sia da disquisire su una operazione più profonda. Sono le muffe che originano il problema. Attaccando il sughero permettono la proliferazione del Tca».
Cinque anni fa, a una importante degustazione, su 36 bottiglie presentate Elio Altare dovette ritirarne 24 perché imbevibili a causa del «gusto di tappo». Un caso clamoroso, a livello mondiale, quello del produttore piemontese, che si vide costretto a non commercializzare ben 27 mila bottiglie, tra Barolo e Barbera. Soltanto dopo una lunga battaglia legale l’assicurazione ha rimborsato ad Altare, il 75 per cento del danno riconosciuto, per altro, dalla stessa azienda produttrice di tappi. «Bisogna fare della prevenzione - aggiunge il vignaiolo -. Occorre più igiene sin dalla raccolta del sughero e il suo stoccaggio. Mi chiedo poi, perché, essendo il tappo un elemento che va a contatto con un alimento, non è sottoposto alla normativa Haccp». Una lacuna legislativa che ingigantisce il problema. Con quindici milioni di tappi prodotti all’anno, nell’azienda di Canale, in provincia di Cuneo, Giovanni Casella non si scompone più di tanto: «I francesi hanno scoperto l’acqua calda. E’ fondamentale lavorare sull'eliminazione delle muffe, che, tuttavia, non è sicura, al cento per cento, neppure con il bombardamento ai raggi gamma, per la sterilizzazione dei tappi». Un procedimento seguito da pochi e assai costoso che non tutti i vignaioli si possono permettere.

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