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Corriere Della Sera

Qualcuno sostiene che l’Europa potrà ripartire ... Qualcuno sostiene che l’Europa potrà ripartire economicamente soltanto quando avrà rinunciato alla Politica agricola comune. Ma l'abbandono di quella che per anni è stata l'unica politica comune sarebbe tradire il principio di solidarietà che è il fondamento stesso della costruzione europea. Gli aiuti sono motivati dal fatto che gli agricoltori europei, con l'apertura dei mercati, si sono trovati a competere con i prodotti provenienti dai Paesi sottosviluppati, prevalentemente agricoli, dove il costo della manodopera è ben più basso e poca attenzione si presta alla sanità dei prodotti. Oggi anche l'industria deve affrontare la concorrenza di prodotti provenienti da Paesi dove il lavoro costa ben poco e non vi sono, o quasi, oneri sociali da pagare. E in conseguenza chiede di fissare dei limiti
alle importazioni da tali Paesi. Nel frattempo Giovanni Sartori, all'Assemblea di Confesercenti, chiede il ritorno ai dazi
e al protezionismo per difendere i prodotti industriali
dalla concorrenza cinese. Degli aiuti all'agricoltura ha molto beneficiato la Francia. Ma anche l'Italia, Paese secondo solo alla Francia per volume di produzione agricola, se n'è avvantaggiata. Del resto, la Pac ha subito nel tempo modifiche e ridimensionamenti: gli ultimi con l'accordo dell'ottobre 2002 che ha di fatto sbloccato i negoziati per l'ampliamento. Il peso dei tagli apportati si farà sentire già all'ormai prossimo raccolto dei cereali che, stando alle previsioni, sarà di gran lunga inferiore a quello dell'anno passato; si è seminato di meno perché i prezzi non sono remunerativi. Se poi i tagli al bilancio agricolo dovessero servire per finanziare i costi dell'allargamento, il risultato sarebbe un bel passo indietro. Ogni costruzione che cresce
e si allarga necessita di nuovi materiali; togliere i mattoni
da un muro per edificarne un altro non serve a completare la costruzione, ma a destabilizzarla.

Alfredo Diana

Risponde Sergio Romano

Caro Diana, lei è stato ministro delle Politiche agricole nel governo Ciampi dal 1993 al 1994 e ha dedicato all’agricoltura gran parte della sua vita. Ma la sua non è una voce isolata. Alcuni lettori, negli scorsi giorni, mi hanno ricordato che la politica agricola della Comunità non ha soltanto protetto, come si è detto nelle scorse settimane, una «specie in via di estinzione». Ha anche contribuito alla conservazione di quello straordinario «manufatto» che è il paesaggio europeo. Se la Pac andasse in soffitta, i campi di frumento e di girasole, le risaie, i vigneti, gli oliveti, gli aranceti, le marcite e i pascoli diventerebbero sterminate boscaglie. Le confesso di avere su questa materia sentimenti contrastanti. Capisco la forza degli argomenti di coloro che cercano di salvare il patrimonio agricolo dell'Europa. Ma osservo che abbiamo difeso l’agricoltura con una politica protezionista che è per molti aspetti in stridente contraddizione con gli interessi di un grande continente industriale, fortemente interessato, anche quando deve misurarsi con la concorrenza cinese, all’apertura dei mercati mondiali. Credo quindi che una buona politica agricola comune debba gradualmente ridurre il tasso di protezione offerto alle agricolture nazionali da quando, agli inizi degli anni Sessanta, il vicepresidente della Commissione Sicco Mansholt regolò il mercato di alcuni prodotti (lattiero-caseari, carne bovina, riso) e il Fondo di orientamento e di garanzia. Come lei osserva nella sua lettera, del resto, questo sta già accadendo da alcuni anni. Nel processo all’agricoltura celebrato in questi ultimi giorni si è dimenticato di ricordare che il 41% del bilancio comunitario, oggi destinato alla Pac, rappresenta pur sempre circa dieci punti in meno di quanto veniva speso dieci anni fa. Un’ultima osservazione. Il pubblico ministero, in questo processo, è stato Tony Blair, e l’arringa per l’accusa è quella che il premier britannico ha pronunciato al Parlamento di Strasburgo a favore di un’Europa in cui il denaro oggi speso per l’agricoltura verrà riservato all'innovazione e alla ricerca scientifica. Pochi hanno osservato tuttavia che Blair, pochi giorni prima, si era servito del no francese e olandese alla Costituzione europea per sospendere il referendum britannico sulla ratifica e invocare un’Europa diversa. Ma i no, soprattutto in Francia, provenivano in buona parte da elettori timorosi di perdere le loro garanzie economiche e sociali. Il premier britannico si accorgerà, nel corso del semestre, che non si può costruire un’Europa inglese con i no francesi.

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