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Corriere Della Sera

Meglio leggero. E il vino perde gradi ... Diete, etilometri, pasti veloci: i consumatori cambiano abitudini. Dodici gradi, fresco e godibile, magari non troppo costoso. È il vino ideale per i consumatori, almeno per una parte. Ma sull’opportunità di abbassare un po’ il contenuto alcolico del vino i produttori si dividono. È la novità di questa quarantesima edizione del Vinitaly, la più importante rassegna del vino italiano, con 4.200 espositori (150 più dello scorso anno) e 150 mila visitatori attesi alla Fiera di Verona tra operatori del settore e molti buyer provenienti da decine di Paesi stranieri. Da un po’ si sente parlare di cantine piene e mercati ristretti per tutti, soprattutto per i vini costosi. Ora sembra in calo anche l’ appeal dei vini a gradazione robusta o decisamente alta. Insomma, i consumatori non possono, o non vogliono, spendere troppo per il vino e cominciano a chiedere prodotti abbordabili anche dal punto di vista del contenuto alcolico. I produttori, per adesso, sono su posizioni diverse. Alcuni ritengono che il grado sia ininfluente: «Chiedereste l’età a una bella donna? - dice Giorgio Grai, decano degli enologi -. E allora non guardate la gradazione: dev’essere commisurata alla struttura del vino». Molti rimangono a favore dei vini corposi, massicci e con gradazione robusta. «Specie per i rossi, per ottenere la giusta maturazione fenolica, che dà la complessità al vino, bisogna ridurre le produzioni e ritardare la raccolta. Quindi le gradazioni salgono» spiega il professor Leonardo Valenti dell’Università di Milano. Altri giustificano l’incremento delle gradazioni con le mutate condizioni climatiche. Fatto sta che il problema esiste. E cresce la fronda dei consumatori, che osteggiano vini troppo alcolici, a loro detta molto impegnativi, pesanti e difficili da bere, specialmente per le donne. Per tacere dei problemi legati alla guida dell’auto, alla necessità di affrontare pasti veloci e poco impegnativi e alla dieta, visto che ogni grammo di alcol apporta 7 calorie. Così i neofiti si orientano su vini intorno ai 12 gradi.
È una tendenza in voga nei Paesi extraeuropei, dove i produttori tolgono alcol al vino per avvicinarlo a una più vasta platea. In Italia non è ancora possibile farlo, per problemi legislativi, ma c’è da scommettere che lo sarà in un prossimo futuro. A favore delle gradazioni moderate si pronuncia Tino Colla, dell’omonima casa di Alba: «Si è esagerato con maturazioni e concentrazioni, un Barolo è molto equilibrato già intorno ai 13 gradi, arrivare a 15 significa avere un vino squilibrato, troppo caldo e pungente». Stessa idea per Fausto Maculan di Breganze: «Non è il grado che fa il vino, conta di più l’eleganza. Per i rossi dobbiamo ispirarci a grandi cru classici di Bordeaux, che con 12,5 gradi hanno una straordinaria finezza». Più profumi e meno gradi è il pensiero di Mario Pojer di Faedo, in Trentino: «Noi puntiamo molto sulla montagna, sui vigneti più alti, dove anche con basse gradazioni si ottengono profumi straordinari. I Riesling tedeschi che sono eccellenti con meno di 10 gradi e negli Usa molti produttori vanno in questo senso, per guadagnare in finezza. Poi non dimentichiamo che vini troppo alcolici di solito hanno acidità basse e risultano più molli. Meglio vini meno alcolici, più freschi e più vivi, che si bevono di più».
Ma non la pensano tutti così. Marco Caprai di Montefalco, produttore di Sagrantino: «Il Sagrantino è un vitigno che accumula molti zuccheri, che poi si trasformano in alcol, abbinati però a grande ricchezza di tannini molto fini. L’importante è l’equilibrio. Molti consumatori credono che il nostro vino abbia una gradazione molto più bassa. Diminuirla significherebbe snaturare il vino». E Leonardo Pietrafesa in Basilicata, nel Vulture, difende le gradazioni sostenute: «L’Aglianico è un vitigno che matura molto tardi, se si vuole fare grande qualità bisogna produrre poco e le gradazioni diventano importanti. Ma quel che conta è l’armonia del vino; non bisogna guardare alla gradazione come fosse la cilindrata di un’auto».

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