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Corriere Della Sera

Il cibo kasher conquista i romani. Tendenze: le regole di produzione dettate dalla religione ebraica sono la più antica certificazione di qualità nel mondo Consumi in crescita, l’assessorato all’Agricoltura progetta una «filiera agroalimentare» dedicata ... Se le radici della cucina romana affondano nella tradizione gastronomica ebraica non deve stupire che la Capitale sia fra i primi consumatori di prodotti kasher (preparati e manipolati secondo i rigidi dettami della religione ebraica, la prima certificazione di qualità del cibo che si ricordi nella storia) e che la scarsità di tali prodotti stia generando la nascita di un nuovo mercato. Vent’anni fa c’era solo il vino kasher (o kosher) prodotto a Pitigliano, in Toscana (oggi soppiantato da vini del Lazio), ora nell’Urbe si trovano vari alimenti kasher prodotti in regione. E i consumi sono in crescita verticale. Certo, gran parte del cibo confezionato col placet dei Rabbinati arriva dall’estero, ma ieri un incontro fra l’assessore regionale all’Agricoltura Daniela Valentini e il rabbino capo Riccardo Di Segni ha posto le basi per la nascita della «prima filiera agroalimentare kasher».

Il progetto sarà definito entro l’estate e prevede rapporti sempre più stretti tra gli organismi della Regione e la Comunità Ebraica per sviluppare esperienze di produzione come quelle avviate da numerose aziende dell’Agro Pontino, dove non solo si imbottiglia il primo e unico vino novello Kasher d’Italia (dell’azienda Sant’Andrea, a Terracina) ma si confezionano numerosi prodotti garantiti dal Rabbinato. «E non bisogna dimenticare l’esperienza avviata a novembre in Sabina - sottolinea Massimo Pallottini, commissario dell’Arsial, l’agenzia regionale per lo sviluppo agricolo - dove abbiamo promosso la produzione di olio extravergine d’oliva kasher, che non esisteva». L’olio de Il Bagolaro, della Ganieri (Nerola), cui s’affianca la prima pasta d’olive kasher prodotta a Tivoli da Lozzi. L’Arsial ha poi lanciato presso l’Enoteca Palatium un ambizioso progetto di menu kasher che si affianca a quello tradizionale: «Certo è complicato - ammette Pallottini - perchè parliamo anche di pietanze precotte, ma mi pare la qualità del prodotto sia accettabile e che la Comunità ebraica abbia aprezzato l’attenzione».

Intanto i produttori di alimentari si attrezzano, anche in considerazione di una domanda che non trova soddisfazione nel mercato locale: «In effetti siamo sempre alla ricerca di prodotti kasher - conferma Raffaele Fadlon, 35 anni, contitolare de La Taverna del Ghetto - e se per la carne la produzione controllata al mattatoio di Roma fatica a tener testa ai consumi, per salse, aceto e margarina importo dalla Francia. I costi sono alti, e a volte non basta pagare: i liquori di Israele sono gravati da dazi forti e l’import è quasi nullo».
Le iniziative per valorizzare e incrementare le produzioni kasher nel Lazio rappresentano dunque un investimento sicuro: anche perchè non c’è solo il mercato regionale. Nel mondo il business kasher è impressionante: 150 miliardi di dollari solo negli Usa. Il ritorno economico per i produttori laziali è garantito. E i vantaggi per i consumatori privati? Anche nelle famiglie romane non ebraiche la richiesta di prodotti kasher cresce. Al Kosher-point della Capitale come sul sito di Kosher Delight (supervisionate dal Rabbinato) gli ordini fioccano. E per chi vuol fare la spesa in sicurezza, la Comunità ebraica di Roma fornisce l'elenco completo degli esercizi kasher dell’Urbe.


E i vini di Israele fanno moda: uno stilista insegue le etichette

Cibi kasher? Buoni e garantiti, sicuro, ma mai così interessanti come i vini kosher prodotti tra il deserto del Negev e le colline di Gerusalemme. I grandi cru di Israele sono protagonisti di un vero boom: nel 2005 l’Italia è stato il terzo Paese con il maggior incremento di import vinicolo da Tel Aviv, dopo Canada e Inghilterra. E una folla di curiosi - ma anche di esperti enologi e professionisti della sommellerie - ha accolto domenica allo Sheraton hotel di Roma la seconda edizione di Bere in Terrasanta , manifestazione dedicata alle 34 etichette più apprezzate di 6 fra le maggiori case vinicole. Oltre trecento persone hanno partecipato prima all’incontro tecnico quindi ai banchi di degustazione aperti dalla visita dell’ambasciatore d’Israele Ehud Gol , fra bottiglie di Yarden (del Golan, importato da Gaja), Dalton, Carmel, Castel, Galil Mountain . E fra i tanti invitati, un curioso d’eccezione, Gianfranco Vissani , ha fatto i suoi assaggi confrontandosi anche vivacemente con alcuni produttori.

«È stato un evento riuscito - si compiace uno degli ideatori Mosè Silvera , che con la Supergal ha rilanciato l’import dei cru israeliti -. Negli ultimi 18 mesi il mercato è cresciuto, anche se quella dei nostri vini è una piccola nicchia. Ed è cresciuto anche perchè garantiamo una grande attenzione alla qualità: tanta da aver dovuto cassare una delle case vinicole inizialmente inserite perchè il livello delle forniture era discontinuo». Ma i consumatori premiano la politica di severità: «Ora formiamo anche ristoranti non kasher come Quinzi e Gabrieli , La Gallura e La Carbonara a Roma, o Aimo e Nadia a Milano. Mi ha stupito l’aumento del consumo nei locali: è stata una sorpresa vedere in quanto poco tempo siano state riassortite le scorte di casse marchiate Israele».
Il mercato cresce anche perchè i dazi sull’importazione dei vini non sono più pesanti, grazie alle convenzioni fra Israele e Unione Europea: «Su una bottiglia si paga il 2-3% come prelievo agricolo» spiega Elio Galante , amministratore di Supergal nonchè «re del pane azzimo» in tutti i supermercati d’italia. E se cresce il mercato arrivano nuovi investitori. Così a Roma lo stilista Angelo Di Nepi ha deciso di affiancare ai suoi affari nella moda (quattro apprezzati punti vendita nella Capitale) il business del vino. Per lanciare il suo piccolo import enoico (rapprensenta l’etichetta Tishbi ), una settimana fa ha organizzato una cena benefica kasher per la Deputazione ebraica, cucinata da Heinz Beck alla Città del Gusto. «Ma attenzione, i guadagni non sono enormi - avverte il concorrente Silvera -: la mia è più una passione-missione per diffondere i prodotti di qualità di Israele».

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