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Corriere Della Sera

“Vino, siamo campioni del mondo ma occorre più gioco di squadra” ... La Francia ci batte sul marketing, ora i vignaioli italiani si alleano. A vent’anni dallo scandalo del metanolo, il Vinitaly celebra il nostro primato nella qualità enologica. Manca, ancora, il giusto peso internazionale... L’orgoglio della nazionale passa in cantina. Pallone e bottiglie; non è facile essere campioni del mondo. Anche nei vini, l’Italia va forte. I gol sono numerosi, l’immagine alta. E proprio l’anno scorso - il 2006 della vittoria ai Mondiali di Germania - un Brunello di Montalcino (“Tenuta nuova 2001” di Neri) si è piazzato al primo posto tra le 100 bottiglie top secondo la bibbia mondiale Wine Spectator. Classifica made in Usa. Soddisfazione per il produttore, e per tutto il settore vitivinicolo del nostro Paese. “L’Italia, in venti, trent’anni, ha fatto ciò che i grandi maestri dell’enologia hanno costruito in due secoli”, dice Stefano Bonilli, direttore de Il Gambero Rosso. Che, con Slow Food, edita la Guida dei vini, assegnando l’ambito riconoscimento dei 3 bicchieri. “Basti ricordare - continua - che nel 1986, l’anno dello scandalo del metanolo, gli ordini dall’estero furono azzerati. Poi, cominciò la ripresa e i nostri vignaioli, da soli, senza aiuti statali, bruciarono le tappe. Raggiungendo l’eccellenza, riconquistando i mercati”. Oggi, negli Stati Uniti, siamo il numero uno. Secondo un report di Mediobanca, il vino è trainante come la moda negli anni Ottanta. La sintesi dei successi internazionali, la vetrina dei nostri gioielli (e molto altro ancora) va ora in scena al Vinitaly. Insomma, l’irresistibile marcia dell’enologia tricolore continua. Ed è riuscita a surclassare perfino i francesi, cugini/rivali.
A farla breve, tranne che per lo champagne, i vini d’Oltralpe sono in fase di stallo. “Sì, li abbiamo battuti - afferma Stefano Cinelli Colombini, proprietario della Fattoria dei Barbi a Montalcino-. Qualità a parte, noi ci siamo più evoluti. La Francia è vecchia, il dinamismo premia. Un esempio? La vendita diretta al consumatore è uno dei nostri punti forti. Inoltre, possediamo il grande tesoro della tipicità. Abbiamo i vitigni autoctoni. Ottanta autoctoni su 100 sono italiani. Questa è la vera ricchezza. I cosiddetti vini internazionali lasciamoli agli australiani, ai sudafricani, ai cileni”. Ma c’è di più: i vigneti del Bel Paese raccontano anche storia, arte, cultura. Due esempi per tutti: la Toscana, le Langhe piemontesi. Il miracolo vitivinicolo non ha avuto santi in Paradiso. A differenza della Francia, l’Italia non ha potuto contare su un pesante marketing istituzionale. Sicché, i produttori intraprendenti viaggiano in solitario, o in gruppo, per fare conoscere e degustare le migliori etichette. E’ il caso di “Grandi Marchi”: un pool di 18 vignaioli associati (tra gli altri, Antinori, Gaja, Ca’ del Bosco, Masi, Umani Ronchi, Lungarotti, Mastroberardino), una specie di compagnia di giro che, attraverso iniziative mirate, va alla conquista di nuove frontiere. “Adesso è il momento dei Paesi asiatici, Giappone, Corea, Cina - spiega Alberto Tasca d’Almerita dell’omonima cantina, portabandiera dell’enologia siciliana da sette generazioni -. Degustazioni in loco, contatto con il pubblico straniero sono fondamentali”. “C’è grande euforia attorno ai vini della mia isola – aggiunge-. Ma per restare campioni occorrono allenamento e concentrazione”.
All’estero si gioca in attacco. Sui nostri mercati? “La situazione non è entusiasmante - risponde Andrea Sartori, presidente dell’Unione italiana vini -. Meno 3 per cento, il consumo interno. Si beve meglio, e si beve meno. A soffrirne sono i vini da tavola, di qualità più bassa. Ormai la sovrapproduzione annuale è di 6/7 milioni di ettolitri”. La ricetta? “Insistere sull’esportazione. Ma qui dobbiamo misurarci con le aziende transoceaniche. E con gli stessi francesi, storicamente consolidati in alcuni Paesi. Occorre che i nostri produttori serrino i ranghi. E, senza rivalità, si diano da fare. Il 90% dell’esportazione si gioca su 11 Paesi. E gli altri?”.
Non conosce crisi, invece, il settore degli spumanti. Sia all’estero che in Italia.
“Lo champagne detiene il primato, tuttavia il ritrovato spirito nazionalista ha giovato ai nostri prodotti - dice Marcello Lunelli, terza generazione della Casa Ferrari di Trento -. Inoltre, il rapporto qualità/prezzo ci favorisce”. Nelle carte dei ristoranti, ottime bottiglie Metodo classico di Ferrari, Berlucchi, Bellavista, Ca’ del Bosco, si possono trovare a 30 euro.
“Dove il made in Italy ha messo solide radici, dove la ristorazione italiana ha sfondato - continua Lunelli - anche lo spumante trova molto spazio”. Poi, c’è l’ascesa del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Non quello in lattina, da bere con la cannuccia, che hanno inventato gli austriaci. “Operazione furba - rileva Giancarlo Moretti Polegato, presidente di Villa Sandi - ma i dati recenti confermano il flop. Il Prosecco certificato, invece, sta andando benissimo. Crescita annuale sul 15/20 per cento. E dai tradizionali mercati europei siamo volati in Nord America”.

Vinitaly si svolge dal 29 marzo al 2 aprile a Veronafiere, viale del Lavoro 8.
Oltre 4000 espositori da 32 Paesi.
Informazioni, 045 8298111, www.vinitaly.com 

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