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Corriere Della Sera

Adrià è il migliore chef del mondo ... “Restaurant Magazine” e la classifica dei 50 locali al top: 6 gli italiani È la vittoria della gastronomia molecolare, del risotto con contorno di gelato, di accostamenti da laboratorio di fisica che reinventano pietanze antiche scoprendo gusti inediti. Eppure continuano a piacere il sano piatto di spaghetti, il soufflé parigino o il fusion che dall'Australia sta conquistando Europa e Stati Uniti. L'Italia? si difende.
Quarta nel mondo a pari merito con la Spagna, sei ristoranti nei primi 50, cuochi che scoprono di avere pochi rivali a livello internazionale. La Mecca della cucina, però, rimane la Francia, seguita dagli Usa e, forse a sorpresa, dall'Inghilterra, Paese che si è lasciato ormai alle spalle il tradizionale fish and chips ed è ora in grado di soddisfare anche i palati più fini. La classifica arriva dai 651 giurati di Restaurant Magazine, piccola testata di settore il cui premio per i 50 migliori ristoranti al mondo, giunto alla sesta edizione, ha raggiunto un'importanza che va ben oltre la sua tiratura, se è vero che anche Davide Scabin, chef del Combal Zero di Torino, definisce la sua presenza al fianco dei grandi “più importante di un’altra stella Michelin”. Poco importa che si sia classificato 46esimo. Il locale, che si trova nel pittoresco Museo d'arte contemporanea del castello di Rivoli, è stato inaugurato solo cinque anni fa. È la sua prima volta sulla lista, assieme a Marco Cracco di Cracco Peck, a Milano (42esimo): due nuovi arrivi che hanno spinto l'Italia avanti di un posto nella classifica mondiale.
Il migliore ristorante della penisola rimane, secondo i critici internazionali raccolti da Restaurant, Gambero Rosso, a San Vincenzo, Livorno, classificatosi quest'anno dodicesimo, quattro posizioni sopra un altro ospite fisso, Le Calandre, a Sarmeola di Rubano. Seguono poi Dal Pescatore, a Canneto sull'Oglio (Mantova), 31esimo, e la fiorentina Enoteca Pinchiorri. Ieri sera i cuochi italiani hanno partecipato al gala-premiazione organizzato al Science Museum assieme a 400 colleghi e critici gastronomici. Da Nobu al danese Noma, dal californiano French Laundry all'australiano Tetsuya: tutti presenti, con i loro chef. Niente vestito lungo, comunque, niente smoking, niente abito intero. Lo chef, in un Paese come la Gran Bretagna, dove i migliori diventano celebrità del piccolo schermo nonché fenomeni editoriali, è un artista che non ha divisa. “Sono geni che creano con il cervello e con il cuore”, precisa uno dei giurati.
Concorda Ferran Adrià Acosta, lo chef di El Bulli, vicino a Barcellona, cui è andata la palma del vincitore: “Il nostro cliente - racconta - non viene a mangiare, viene per provare un'esperienza nuova”. Potrebbe essere il motto di qualsiasi ristorante: lo è in modo particolare per El Bulli e The Fat Duck, di Heston Blumenthal che nel Berkshire inglese si è classificato secondo. Sono loro i portabandiera del movimento nato nel 1969 grazie a Nicholas Kurti, il docente di fisica dell'università di Oxford che coniò la “gastronomia molecolare”. Tecnica per la quale oggi il cliente è disposto a chiudere un occhio sul prezzo.

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