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Corriere Della Sera

Maionese fritta e gelato all’azoto. La cucina futurista dei tecno-chef ... Settantasette anni dopo il manifesto culinario di Marinetti, la chimica rivoluziona l’alta gastronomia... Maionese fritta, burro elastico, aceto in polvere, cibi “sferizzati” - cuore cremoso con una membrana esterna rigida - che esplodono sotto il palato. E cucine nelle quali, invece di aglio e olio, regnano azoto liquido, elio, soluzioni di calcio, amidi misteriosi e altri prodotti chimici - soprattutto addensanti e gelificanti derivati dalle alghe - che cambiano la consistenza di molti cibi, consentendo agli chef di inventare nuovi piatti, di tentare combinazioni sempre più audaci. Chi considera ogni deviazione dai sapori tradizionali una forzatura, l’ha soprannominata “gastrochimica” e la disprezza, ma la “cucina molecolare” è ormai uscita dall’ambito delle discussioni teoriche tra qualche scienziato desideroso di esplorare nuovi campi e qualche cuoco in cerca di avventure per arrivare in tavola. Il fenomeno è più visibile nelle grandi città americane dove più alta è la domanda di esperienze alimentari nuove e dove anche l’alta cucina ha assunto dimensioni industriali: e, come ogni industria, anche la gastronomia non può fare a meno dell’innovazione tecnologica. E l’Europa? Con molta più cautela, la chimica sta entrando in cucina anche in Francia e in Italia. Ma se da noi l’innovazione riguarda soprattutto i modi di cuocere il cibo e di trasformare i liquidi in “gel”, in molti grandi ristoranti di New York, Chicago e della California prevale la volontà di stupire. E il regnò della cucina-spettacolo i cui sovrani sono i “tecnochef”: personaggi come Thomas Keller di “The French Laundry” nella Napa Valley, Wylie Dufresne di “WD-50” a New York e Homaro Cantu che ha trasformato il suo ristorante di Chicago, “Motu”, in un laboratorio nel quale c’è spazio per raggi laser, centrifughe e acceleratori di particelle di ioni. Cantu, un figlio di ingegneri, dice che in cuor suo si sente più scienziato che cuoco. Non stentano a crederlo i clienti che si trovano davanti un menù che, una volta letto, può essere mangiato o la “pina colada” (cocktail di rum, ananas e cocco) che, congelata ed essiccata, diventa la base per una zuppa calda. “Io non servo pasti: voglio cambiare il modo nel quale la gente percepisce il cibo”, spiega il cuoco -tecnologo a chi lo interroga sui suoi piatti. Percezioni che devono restare esclusive: Homaro Cantu brevetta le sue creazioni sia negli Usa che all’estero. Comprensibile, visto che il suo modo di innovare in cucina è anche il frutto della collaborazione con i DeepLabs, un centro di ricerca di Chicago nel quale lavorano scienziati con esperienze nel settore aerospaziale, nell’ingegneria meccanica e nell’animazione. Daniel Puskas, un altro profeta della cucina post-moderna (ma molti preferiscono parlare di gastronomia futurista, 77 anni dopo il manifesto culinario di Marinetti), spiega che da lui non va di certo chi vuole saziarsi con un piatto pieno di pasta. Puskas, che si è “fatto le ossa” da “Alinea”, a Chicago, e ora ha aperto un ristorante a Sydney, in Australia, è convinto che i suoi clienti vogliano sperimentare il piacere intellettuale di un gusto che esplode, sorprende e sconcerta. E, magari, fa anche sorridere: l’equivalente culinario di un film di Pedro Almodovar. A New York, Wylie Dufresne è orgoglioso dello scaffale zeppo di additivi chimici che occupa un’intera parete della sua cucina. Lettore accanito di opere fondamentali come “Applicazioni nell’alimentazione dei polimeri solubili in acqua”, lo chef di “WD-50” usa le sue diavolerie per preparare guarnizioni come il “foie gras elastico” che può essere annodato attorno a una pietanza o piatti come la “French onion soup” nella quale la minestra è contenuta all’interno di sfere di groviera tenute insieme con gli idrocolloidi, degli addensanti derivati dalle alghe. Gli chef tradizionali considerano queste innovazioni degli eccessi, squarci di cibo-spettacolo senza più rispetto per i sapori. Ma tutti riconoscono che la tecnologia e la conoscenza approfondita delle reazioni chimiche hanno un ruolo sempre più importante in cucina. Un’evoluzione - sempre in bilico tra soddisfazione dell’occhio e del palato - alimentata anche dall’industria della comunicazione, con le principali reti televisive americane che dedicano all’alta cucina interi canali tematici. La setta dei gastro-innovatori è andata in passerella qualche settimana a New York, allo Starchef International Congress. Dal quale gli esperti del settori sono tornati indietro con l’idea che, pur senza gli eccessi ostentati dalle avanguardie, la chimica sta avanzando silenziosamente in tutte le grandi cucine: penino in quella di David Kinch che a Los Gatos, in California, propone cibi naturali. E che usa, per dare la giusta densità al suo puree di vegetali, la xanthan gum, una specie di alga fermentata da un batterio, che impedisce all’acqua di separarsi dagli altri ingredienti.

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