02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Corriere Della Sera

La via italiana: “Funziona solo un’innovazione su 10” ... Da Lidia Bastianich a Iaccarino: “Il limite è la riconoscibilità dei sapori”... “L’innovazione in cucina non mi spaventa. Gli chef che lavorano nei miei ristoranti devono conoscere le reazioni chimiche che si generano nella preparazione del cibo. Io difendo la tradizione, ma so che un pasto ha anche un valore evocativo; che chi si siede a tavola ha anche voglia di provocazione. E la storia della “nouvelle cousine”, prima che della “gastrochimica”. Ma c’è un problema di misura. E il limite non può che essere quello della riconoscibilità dei cibi e dei sapori”. Lidia Bastianich, nata a Pola quando l’Istria era italiana, arrivata 50 anni fa negli Stati Uniti dove - con le sue trasmissioni televisive, i libri di cucina e i grandi ristoranti che gestisce da sola o in società col figlio e con lo chef Mario Batali - è oggi, a New York, la “regina della cucina “tricolore”.

In America come in Europa, i cuochi che abbracciano la gastronomia postmoderna si ispirano soprattutto agli chef spagnoli. In Italia Massimo Bottura dell’Osteria francescana di Modena, uno che è passato dalla corte di Alain Ducasse, è considerato un loro seguace. Anche Massimiliano Alajmo (Le Calandre, in Veneto) ha tratto alcuni spunti dalla cucina post-moderna di Adrià. Mentre a Sant’Agata sui Due Golfi Alfonso Iaccarino (Don Alfonso) confessa di aver sperimentato tutte le opportunità offerte dalla chimica, scoprendo, alla fine, che solo un’innovazione su dieci dà risultati apprezzabili e che non compromettono i sapori. “Comunque - aggiunge il figlio Ernesto - l’innovazione è una strada obbligata. Anche noi che siamo molto attenti alla tradizione, cuciniamo in modo molto diverso rispetto a venti o trent’anni fa e non si torna indietro. Lei rinuncerebbe al telefonino o al navigatore satellitare?”. Per questo anche Don Alfonso si sta attrezzando con un suo laboratorio di ricerca e dialoga con Davide Cassi, uno che di cibo se ne intende (sua la ricetta del cremosissimo “gelato estemporaneo all’azoto liquido”) ma non è uno cuoco: Cassi insegna fisica della materia all’università di Parma. Insieme a Ettore Bocchia, lo chef del “Mistral” di Bellagio col quale collabora da tempo, Cassi ha pubblicato due anni fa una sorta di manifesto della cucina molecolare italiana.

Quella di Cassi non è un’anomalia, prima di arrivare nelle cucine dei grandi chef, la gastronomia molecolare è stata oggetto di studio da parte di scienziati. Come Hervé This, che ha fondato questa disciplina in Francia, Pierre Gilles de Gennes (Nobel 1991 per la Fisica) o Robert Wolke, chimico dell’università di Pittsburgh e titolare di una seguitissima rubrica di cucina sul Washington Post. Ma la figura più originale è, forse, quella di Nicholas Kurti, un ebreo ungherese, fisico delle basse temperature, scappato dall’Europa nazista, che negli Usa lavorò a Los Alamos alla realizzazione della bomba atomica. A guerra finita Kurti andò a insegnare a Oxford. Lì ha scoperto la sua passione per le applicazioni della fisica e della chimica alla gastronomia. Negli anni ‘90 Kurti ha anche portato la cucina molecolare in Italia, organizzando una serie di simposi presso la Scuola Ettore Majorana di Erice, quella di Zichici. Un connubio, quello tra fisica, chimica e cucina, che non ha mai messo in imbarazzo gli scienziati. In fondo, già all’inizio dell’Ottocento il fisico e gastronomo Brillat-Savarin sosteneva che “la scoperta di un nuovo piatto procura più felicità al genere umano della scoperta di una stella”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su