Io, pizzaiolo al servizio dei clienti come un samurai ... Ricetta d’autore Tra forno e letteratura... Nutrirsi è una delle poche cose che accomuna gli esseri umani; il mestiere di preparare il cibo di cui hanno bisogno, o molto più semplicemente voglia, è una specie di vocazione, come prendere i voti o diventare samurai, e appartiene ad una minoranza.
Da anni ormai ne faccio parte, al livello più basso della gerarchia, ovviamente; inforno e sforno pizze. Per tanto tempo ho fatto male entrambe le cose: mangiare e cucinare. Fino a vent’anni credevo che il cibo fosse semplicemente qualche cosa da inghiottire; il mio piatto preferito era pane con mortadella, perché si poteva mangiare ovunque, specialmente in movimento. Facevo molta fatica, da ragazzo, a tenere le gambe sotto la tavola. Come pizzaiolo, pensavo che stendere l’impasto, condirlo e infine cuocerlo fosse semplicemente un lavoro, uguale a tutti gli altri; non mi importava per niente di ciò che
finiva sul piatto dei clienti; a quel punto erano affari loro, non miei.
Crescendo, come San Paolo sulla via di Damasco, ho cominciato a dubitare. Con il passare degli anni, notavo che il modo in cui afferravo la pala per cuocere le pizze cambiava; non era semplicemente un arnese maneggiato da un operaio lungo la catena di montaggio, un cacciavite o un trapano: impugnavo la pala come fosse una spada. I pantaloni, la maglietta e il grembiale infarinati che indossavo ogni sera non dovevano trarre in inganno; stavo diventando un samurai. Avevo una missione. Avevo scoperto una grande verità: i clienti non correvano da noi spinti dalla fame pura e semplice. Non solo per quello, almeno. Venivano per il piacere di mangiare proprio quella pizza particolare.
Mio zio, il proprietario del locale, lo ha capito da un pezzo. Per anni, per esempio, mi sono chiesto perché mai invece di comprare gli aromi al supermercato, imprigionati in quei comodi barattoli di plastica, quelli in cui ruotando il tappo
si sceglie il dosaggio, si ostinasse a coltivare sul terrazzo della pizzeria ogni sorta di erba officinale. C’era la vasca con la santoreggia, quella con l’erba cipollina, due vasi di basilico e nel sottoscala della cucina una cassetta di maggiorana essiccata, che si faceva preparare appositamente dal Giardino delle Erbe di Casola. Lui l’aveva capito subito. Nessun essere umano, per sfamarsi, ha bisogno di mangiare dell’erba cipollina, eppure esistono persone che escono di casa con la pioggia, magari litigando con la moglie che proprio quella sera ha preparato lo stufato, perché proprio non possono resistere all’idea di una bella pizza alle erbe.
Mi ci è voluto un sacco di tempo per rendermi conto che la gente è appassionata ai propri gusti. Se le cambi salsa di pomodoro, se ne accorgono subito; se provi un altro tipo di mozzarella, che ti costa magari anche solo 50 centesimi in meno al chilo, fanno la rivoluzione. La gente non cede di un millimetro, sui propri gusti. Per questo mio zio è molto geloso della sua ricetta per l’impasto. I clienti apprezzano le nostre pizze leggere, che si digeriscono ancor prima di mettersi a letto e non ti obbligano a bere tutta notte. Usa pochissimo lievito. Per non rischiare, ha affidato i dosaggi degli ingredienti alla memoria, rifiutandosi di annotarla da qualche parte e magari chiuderla in cassaforte. Fintante che la sua testa tiene, in effetti, quello resta il luogo più sicuro in cui nasconderla. Immagino che quando si rimbambirà definitivamente e non la ricorderà più, sarà un po’ come esser-si dimenticato la combinazione.
Così, come mio zio, anche io sono diventato un samurai: al servizio dei clienti, fino alla morte. Li assecondo in tutto, cosa che fino a tre anni fa nemmeno mi sognavo. Cambio gli ingredienti delle Quattro stagioni, a seconda dei loro gusti; consiglio di accostare salame piccante e olive nere all’uovo sodo: spiego che se proprio si vogliono gustare le verdure cotte, meglio metterle su una pizza senza pomodoro né mozzarella, ma su una semplice schiacciata con sale e olio. Ogni tanto mi monto la testa, e mentre condisco con la rucola mi scopro a fare degli svolazzi con la mano, alla Vissani.
Di fronte a tutta questa passione, di chi cucina e di chi mangia, è davvero un peccato che la gola sia tra i sette peccati capitali della Chiesa Cattolica. Lo dico da semplice e trascurabile pizzaiolo-samurai, come ce ne sono tanti, ma mi sembrano maturi i tempi per una moratoria...
Lo scrittore Cristiano Cavino, capo-pizzaiolo de “II Farro” di Casola Valsente (Ra) è autore di “Un’ultima stagione da esordienti” (marcos y marcos)
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025