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Corriere Della Sera

“Bevitori unitevi”. Rivolta a tavola ... Caro vino. Invettiva dello scrittore britannico: “Il cameriere che riempie di vino i bicchieri? Gesto invadente e insolente”. Da censurare. “È come se dicesse: sbrigati a ordinare un’altra bottiglia. E così la cena al ristorante diventa proibitiva”... Qualche sera fa, ero a cena in un grazioso ristorante in compagnia di alcuni amici, e stavo realmente dando il meglio di me, come battutista e raconteur.
Tutto bene finché, dopo il prolungato e ineffabile piacere di aver tenuto i commensali sulla corda, e proprio mentre ero sul più bello, è successo qualcosa che ha (a dir poco) del surreale. Un cameriere è sbucato dal nulla, ha preso ad armeggiare attorno al sottoscritto (ficcando letteralmente il naso nella conversazione), afferrato le mie posate e iniziato a spezzare le pietanze, tutto al posto mio. Come se la bizzarra scenetta non bastasse, e senza sdilinquirsi in convenevoli, ha quindi distribuito a ognuno dei commensali un boccone della mia portata. No, in realtà non è andata così. In realtà, dicevo, il cameriere si è limitato a interrompere i lieti conversari e l’allegro banchetto, sbracciarsi e ondeggiare davanti al sottoscritto, afferrare la bottiglia di vino che troneggiava al centro della tavola e versarla, poco alla volta, nel bicchiere di ognuno. Visti e considerati i fatti, sorge un interrogativo: come e per quali vie si è potuta affermare una consuetudine tanto barbarica? E soprattutto: perché mai dovremmo sopportarla con rassegnazione?
Un ristorante può infliggere un pessimo servizio ai suoi clienti principalmente in due modi. Primo, costringendoli a una lunga e sfiancante attesa, con disperati tentativi di richiamare l’attenzione di un cameriere. (“Ma perché devono chiamarsi waiter, attendenti? - si domandava mio figlio, incredulo, a soli cinque anni -. Siamo soltanto noi che attendiamo!”). Secondo, dimostrando una fastidiosa e inopportuna invadenza, con snervanti bla-bla sui “piatti del giorno” ed eccessive, svenevoli premure. Ricordo bene una geniale vignetta sul New Yorker, con protagonista una coppietta in procinto di coricarsi. Lui risponde al telefono e, coprendo con una mano la cornetta, dice a lei: “È il maître del ristorante dove abbiamo cenato. Vuole sapere se sta andando tutto bene!?!”. La rozza consuetudine di intrufolarsi e versare le libagioni di propria iniziativa è la massima espressione di quest’ultima forma di scortesia.
Oltre a rivelare di per sé un’agghiacciante villania, tale prassi nasconde (e neppure troppo bene) intenti assai venali: “Sbrigati, e ordina un’altra bottiglia!”. Ma c’è di più: siamo ormai così assuefatti a tali e tante dimostrazioni di onta e insolenza che nessun cameriere, come ho avuto modo di constatare di persona, si perita ormai di intromettersi in una conversazione privata, svuotare la caraffa e chiedere impertinente se “i signori ne vogliono forse un’altra”. Ripeto: figuratevi la stessa tattica adottata con il cibo Poche persone amano il vino quanto il sottoscritto. Molte signore, per dire, si limitano a un bicchiere a pasto, o addirittura mezzo. E che strazio, per uno come me, vedere del buon vino scialacquato nei bicchieri di chi non l’ha chiesto né probabilmente lo desidera, e poi lasciato in disparte, quasi intonso, quando la cena è ormai finita. (Il signor Colman, il re britannico della mostarda, a quel che si dice, dovette la sua fortuna non alla senape consumata ma a quella lasciata sul piatto ).
I ristoranti non dovrebbero infliggere sciupio e stravaganze ai loro avventori soltanto per il gusto di gonfiare il conto. Anche questa è una gravissima forma di scortesia. Il risvolto economico, ribaltando i termini del discorso, è soltanto un dettaglio rispetto all’insolenza del gesto. Chi veste i panni dell’anfitrione, infatti, si ritrova usurpato di un suo privilegio naturale. (“Posso riempirti il bicchiere? Dai, assaggia questo vino. Lo gradirai senz’altro”). Ma anche l’invitato, probabilmente, subirà un senso di frustrazione: ogni volta che tenta di ripagare la gentilezza dei commensali, infatti, c’è il rischio che tizio indesiderato si avventi (con il consueto tatto) sul proprio tavolo e impedisca persino di terminare la frase. Se costui riempie i bicchieri di sua iniziativa, è un semplice villano (vedi sopra). Se, al contrario, domanda il placet a ogni singolo avventore - ciò che in realtà dovrebbe fare, a ben vedere -, tanto vale che accosti una sedia e si unisca alla comitiva. Che dire, una bella faccia tosta!
Tornando al perché della nostra rassegnazione, immagino che in parte dipenda dallo snobismo e l’insicurezza che sovente infestano il microcosmo del vino. Un sommelier è o può essere un pezzo grosso e, dandosi tutte quelle arie, mette facilmente in soggezione i profani dell’enologia. Se entrate in un piccolo liquor store di periferia, vi accorgerete che molto spesso il vino è venduto a prezzi esorbitanti, giacché una vaga ma diffusa percezione vuole che esso debba, in qualche modo, costare di più. E poi entra in gioco, più banalmente, la forza dell’abitudine e della routine. Sicché, per un motivo o per l’altro, si accorda ai ristoratori il diritto di tiranneggiare i clienti senza alcun ritegno. Che fare, dunque? Beh, basterebbe soltanto un po’di resistenza. Fino a (relativamente) poco tempo fa, era normale consuetudine, a Washington, in occasione di cene diplomatiche o delle serate di gala a Georgetown, che la padrona di casa invitasse le signore a ritirarsi in disparte, lasciando gli uomini al porto, ai sigari e alle seriose questioni di Stato.
Finché una sera, negli anni Settanta, all’ambasciata britannica, la compianta Katharine Graham (ex proprietaria del Washington Post) rifiutò di alzarsi e sloggiare. Nessuno se la sentì di costringerla e, tempo ventiquattr’ore, la notizia fece il giro del Paese. Di lì a poco, tutti abbandonarono quella ridicola consuetudine. Ora, mi rendo perfettamente conto che molti e assai più gravi problemi incombono sulla nostra civiltà, e ben più aberranti violazioni dei diritti umani vengono perpetrate proprio in questo istante. Ma chiunque di noi, stavolta, può capovolgere la situazione d’un sol colpo. La prossima volta che qualcuno si azzarda a interrompere la vostra conversazione o s’impunta favorirvi la digestione del pasto (o la lievitazione del conto), opponete con estrema cortesia ma altrettanta fermezza un bel “Grazie, preferirei proprio di no”.
© Christopher Hitchens, distribuito da The New York Times Syndicate (traduzione di Enrico Del Sero)

1.800 euro - Chateau Petrus 1985...
Bordeaux, fa parte delle bottiglie “speciali” (anche nel prezzo). Carissima pure l’annata 1981 dello stesso vino, che arriva a quotazioni di poco inferiori ai 1.500 euro

1.480 euro - Schidione 1997...

Magnum III Millennio di Biondi Santi, è un vino entrato nella leggenda. Un lungo invecchiamento, dicono gli esperti, non può che aumentarne la qualità

1.700 euro - Chateau Margaux...
Prodotto nel 2005, annata considerata “perfetta” e di grandissimo pregio, questo rosso di Francia è uno fra i dieci vini più pregiati al mondo. Ha una gradazione di 13°

1.000 euro- Clos du Mesnil...
Champagne, annata 1996, è il risultato della selezione di un solo vitigno e di un’unica raccolta. L’annata 1996 è una delle migliori

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