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Corriere Della Sera

Petrini: quei docenti mi hanno ferito, rinuncio alla cattedra ... “Mi occupo di sostenibilità ambientale da anni e mi sarebbe piaciuto parlarne da una cattedra dell’Università di Torino. Dopo tutto quello che è successo, però, ho fatto un passo indietro”. Non per niente lo chiamano il Gandhi che mangia. Al guru di Slow Food Carlin Petrini non piacciono le polemiche. E alle arene mediatiche, dice, preferisce un tramonto sui vitigni della Savoia. “Torino è lontana”. Ma che cosa è successo, per davvero? “È successo che 90 professori di Scienze su 106, mi hanno chiesto la disponibilità a insegnare nella loro facoltà sociologia dell’ambiente e del territorio”. Una chiamata per “chiara fama”. “Il preludio. E la cosa mi aveva fatto piacere. Vivo di ambiente e territorio, ho già tenuto corsi negli atenei di Napoli e Bologna. Così ho dato una valutazione positiva alla proposta”. E poi? “Sono arrivate le lettere di protesta firmate da docenti di altre facoltà, la polemica sui giornali. Un polverone che non mi aspettavo. All’inizio ho deciso di non replicare. Ma poi i toni si sono esacerbati e ho preferito sfilarmi”. Che cosa le ha dato più fastidio? “La premessa anteposta a ogni bordata: “su Petrini, personalmente, nulla da dire...”. Poi, però, patatrac...”. “Patatrac” cosa? “Massì, i toni. Alcune espressioni sono state davvero di cattivo gusto. Tipo quella del cavallo...”. Si riferisce ai professori Ugo Volli e Luciano Allegra che hanno paragonato l’“operazione” alla nomina del cavallo di Caligola a senatore? “Non solo. La sociologa Saraceno ha contestato il metodo, lo storico Ricuperati ha detto che con la sociologia non ho niente a che vedere. Non voglio entrare nel merito della polemica di tipo procedurale”. Ma lei si sente sociologo? “Questo lo lascio valutare agli altri. Dico solo che conosco bene i temi che mi si chiedeva di affrontare e avrei potuto trattarli con competenza”. Quali temi in particolare? “La tematica centrale per l’ateneo e fondamentale per gli anni a venire è quella della sostenibilità dell’ambiente e dei processi produttivi. Con Slow Food è da tempo che mi occupo di questo: la produzione intensiva del cibo rapportata alla speculazione che avviene sui cereali, all’aumento del prezzo del petrolio, ai cambiamenti climatici”. Competenze che le riconoscono. “Il fatto è che vedono di me solo il lato gastronomico. Ma cosa credono: che quando parlo con Morin, Latouche e Ritzer ci limitiamo a mangiare e a fare chiacchiera?”. Rivendica dunque il suo ruolo di ideologo del cibo? “Dico che Slow Food ha cambiato qualcosa nel modo di intendere il cibo. E che, Petrini a parte, l’università ha un gran bisogno di aprirsi. Ci sono tante persone che magari non hanno curricula tradizionali ma sono linfa vitale”. È stato chiesto però cosa c’entra lei con la facoltà di Scienze? “Solo attraverso la multidisciplinarità si può leggere la complessità del mondo, e magari costruire un nuovo umanesimo. La scienza ha bisogno di umanisti e viceversa. Sfido chiunque a dire che Odifreddi è solo un matematico. Basta chiusure a riccio, anche se giustificabili”. In che senso? “Nel senso che l’assoluta mancanza di investimenti nell’università e nella ricerca ha generato solo senso di frustrazione e delegittimazione. Per questo non solo capisco chi mi ha attaccato, ma credo anche che le loro reazioni siano riconducibili a una rivendicazione giusta e corretta”. Che per tanti sa di corporativismo. “Il corporativismo non c’entra. Spero però che questo polverone serva ad aprire un dibattito costruttivo e la stessa università”. A persone come Carlin Petrini? “Io ho fatto un passo indietro”. Il rettore Pelizzetti ha però confermato che l’iter va avanti. “Va avanti ma sarà lungo”. E se alla fine arriverà il via libera? “Vedremo. È prematuro. Lascio che le acque scorrano a valle. Ma terrò molto in considerazione il consiglio di Giampaolo Fabris: mi concentrerò su quello che già faccio”.

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