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Corriere Della Sera

Guerra ai falsi, ecco il Dna digitale ... Codice per ogni prodotto. Sms del consumatore per controllare Adottato da vino, aceto balsamico e otto marchi della moda... Nel 2007 negli Stati Uniti le autorità hanno scoperto e confiscato merce falsa per quasi 200 milioni di dollari. Il prodotto più contraffatto in assoluto? Le calzature. In Europa, invece, al primo posto ci sono le sigarette, che rappresentano il 57% di tutti gli articoli falsi sequestrati alle dogane nel 2007, per un controvalore complessivo di circa 128 milioni. Gli affari dell’industria della contraffazione, però, sono molto più cospicui. Secondo la Camera di Commercio Internazionale ogni anno vengono venduti prodotti che violano la proprietà intellettuale per 600 miliardi di dollari. Non si tratta più soltanto di borse o Cd musicali copiati alla buona e smerciati per strada. La contraffazione sta diventando una pratica sempre più sofisticata, che abbraccia un numero crescente di categorie, dalle medicine alla pasta, dalla cosmesi ai fertilizzanti. Con gravi rischi per la salute dei consumatori, oltre al danno economico per i produttori.

Se il problema è globale, una delle risposte più innovative per contrastarlo viene dall’Italia con il “Dna digitale”, un servizio di verifica per proteggere l’autenticità e la qualità dei prodotti made in Italy, a cominciare dal cibo e dalla moda.
Come funziona? Ad ogni articolo, che si tratti di un bottiglia di vino, di un capospalla o di una borsa, viene abbinato un codice, sotto forma di una stringa numerica, univoca e non sequenziale, una sorta di identità virtuale. Il consumatore che compra il prodotto così “marchiato”, può verificarne immediatamente l’autenticità inviando un Sms con il codice, con una telefonata o una video chiamata oppure attraverso Internet, grazie a una piattaforma tecnologica che integra tutti questi sistemi di comunicazione con una banca dati centralizzata.

“Il Dna digitale è un numero composto da 12 cifre, creato attraverso una serie di algoritmi proprietari e segreti, sviluppati e testati da un team di matematici e statistici anche in collaborazione con l’Università di Padova”, spiega Daniele Sommavilla, vice presidente e socio di CertiLogo, l’azienda milanese che ha inventato e brevettato il sistema, distribuito in Italia in partnership con Accenture. Il codice contiene un ampio numero di informazioni relative al prodotto, che ne identificano ad esempio i componenti, il luogo e la data di produzione, i mercati di destinazione e così via, rendendolo unico e originale, proprio come il Dna identifica ciascun essere vivente. “È come se il prodotto portasse con sé la sua storia, attraverso le varie fasi di produzioni”, riassume Sommavilla.

Ogni azienda può scegliere quante e che tipo di informazioni inserire, così come quale tecnologia usare per “marchiare” i prodotti. Il codice può essere infatti applicato all’articolo con una comune etichetta di qualsiasi materiale e forma; attraverso il codice a barre; oppure combinando altre tecnologie anticontraffazione, come ad esempio un bollino olografico o un Tag Rfid (l’acronimo sta per Radio Frequency Identification), una tecnica che, grazie ad un chip, letto ad alta frequenza, permette l’identificazione automatica e a distanza di oggetti, animali o persone grazie a lettori ad hoc.

Rispetto ad altre tecniche di protezione contro i falsi, il Dna digitale può essere usato però anche come uno strumento di marketing innovativo, per comunicare con i consumatori. “Abbiamo clienti che producono anche 4-5 milioni di pezzi all’anno: di fatto sono 4-5 milioni di antenne che collocano in tutto il mondo. Il tipo di relazione che si crea è reale, perciò oltre alla verifica dell’originalità, possono ottenere una serie di informazioni”, afferma Sommavilla.

Ad aver cominciato, per prime, ad usare il Dna digitale sono alcune aziende dell’alimentare di qualità, soprattutto produttori di Dop e Doc, con una buona componente di export. Come l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia di Acetaia San Giacomo; l’Olio Benacus, il marchio con cui viene commercializzato l’olio extra vergine di oliva Dop prodotto sulle sponde del lago di Garda; e il Brunello di Montalcino firmato da Ciacci Piccolomini d’Aragona. Tre esempi di ambasciatori dell’Italian style nel mondo, il cui successo si basa proprio sulla rintracciabilità del prodotto e la protezione del marchio dalla clonazione.

“L’alimentare è il primo settore a cui abbiamo applicato il Dna digitale, soprattutto per differenziare i veri prodotti del made in Italy, spesso di nicchia, da altri prodotti che di italiano non hanno nulla, ma che come tali sono venduti specialmente negli Stati Uniti”, racconta Sommavilla. E chiunque abbia avuto occasione di fare un giro in un supermercato americano sa bene quanti marchi, dalla pasta all’olio, dai nomi nostrani ma sconosciuti nel nostro Paese, sono spacciati come autentico made in Italy.

Il secondo comparto a puntare sul Dna digitale è stato la moda, con otto marchi globali dell’industria del fashion che già lo usano. Tra questi ci sono le borse e la nuova linea di accessori femminili di John Galliano prodotta in licenza per tutto il mondo dall’It Holding di Tonino Perna. Mancano ancora le grandi firme, da Prada ad Armani, da Gucci a Versace, che per difendersi dalle imitazioni finora hanno optato (con qualche delusione) per altre tecnologie, a cominciare dagli ologrammi. Ma “il nostro progetto è sulle scrivanie di tutte le maggiori aziende di moda”, assicura Sommavilla.

I programmi di CertiLogo sono ambiziosi. Oltre a Sommavilla, ex vice presidente di Nielsen/NetRatings, la società include tra gli altri Michele Casucci, l’amministratore delegato, ex numero uno di Lycos Italia, e Luca Losa, responsabile operativo, tra i primi in Italia, con l’azienda fondata dal padre (Tipografia del Numero), a inserire nei propri processi produttivi la stampa di codici a barre progressivi e di dati variabili median-
te stampa digitale. Nell’advisory board siedono inoltre personaggi come Giuseppe Vita, presidente del consiglio di sorveglianza dell’editore tedesco Axel Springer, della Banca Leonardo di Gerardo Braggiotti e membro del cda di diverse società, e Paolo Aino, tra i soci fondatori di Virgilio, il primo portale Internet italiano. La prossima mossa? Dopo food e fashion è allo studio lo sbarco nel mondo della cosmesi.

Oltre ad essere un’arma contro la contraffazione, il Dna digitale, attraverso la tracciabilità del prodotto, permette un maggior controllo della distribuzione: un prodotto destinato a un determinato mercato, può essere rintracciato facilmente altrove. E se ciò rappresenta un problema nella moda, che ha prezzi specifici per ogni area geografica, la tematica del fuori canale (laddove si legge “solo in profumeria o solo in farmacia”, invece poi si trova sugli scaffali dei supermercati o su Internet) diventa cruciale nell’industria cosmetica. Ecco perché CertiLogo ha iniziato a lavorare con alcuni importanti produttori. In questo caso, però i codici restano invisibili ai consumatori. Le aziende possono infatti decidere se rendere leggibile il Dna digitale ai clienti o “rivelarlo” soltanto ad alcuni soggetti, come gli ispettori aziendali, i licenziatari, i rivenditori, le dogane o le Autorità di controllo.
E poi si pensa anche ai prodotti farmaceutici, visto il grande numero di medicinali falsi che arrivano sul mercato, anche in Europa e non solo nei Paesi in via di sviluppo, come dimostra il drammatico aumento, con un salto del 384%, delle medicine contraffatte confiscate nel 2006 rispetto a un anno prima.

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