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Corriere Della Sera

“Ho comprato il Brunello È quello vero?” ... Se aumentano le notizie di vino taroccato - l’ultima risale a qualche settimana fa e riguarda un carico di Amarone falso, pronto a salpare dal porto di Livorno per gli Stati Uniti, sequestrato dalla Guardia di Finanza - cresce la lotta alla contraffazione e alle frodi commerciali anche nel comparto vinicolo, una delle voci più rappresentative del made in Italy nel mondo. E la casa Ciacci Piccolomini d’Aragona, che fa capo a Paolo e Lucia Bianchini, è tra gli antesignani ad aver adottato sistemi innovativi per combattere l’eno-pirateria e garantire l’autenticità, l’origine e la qualità del proprio Brunello e Rosso di Montalcino. L’ultimo è il Dna digitale.

Con 200 mila bottiglie complessive prodotte ogni anno, destinate prima di tutto alla tavola degli Stati Uniti, primo mercato dove arriva il 40% della produzione, “l’azienda ha sempre cercato di attrezzarsi con sistemi per contrastare la falsificazione”, afferma Mauro Zanca, marito di Lucia e responsabile vendite e marketing.

Così già quattro anni fa Paolo Bianchini per proteggere i suoi vini, aveva applicato un microchip sull’etichetta delle bottiglie. “Però il consumatore aveva difficoltà ad identificarlo, perché serviva un apposito strumento. Perciò nel 2006 abbiamo cominciato a inserire uno speciale ologramma sulla capsula in argento, fatto dalla ditta tedesca Kurz, la stessa che fornisce la tecnica olografica alla Banca centrale europea per le banconote in euro”, aggiunge Zanca.

Nel 2007 la cantina Ciacci Piccolomini ha aggiunto, per rafforzare le difese contro le falsificazioni, anche il codice CertiLogo, prima soltanto sul Brunell o d i punta, quello che viene considerato il gran cru della casa toscana e venduto nelle enoteche intorno ai 30-32 euro a bottiglia, poi da quest’anno anche sul Brunello di seconda fascia (con un prezzo tra i 24 e i 25 euro). “Più dispositivi si usano, più si complica la vita dei falsari”, commenta Zanca.

Si è trattato di una misura preventiva, anche perché “due anni fa abbiamo cominciato ad esportare i nostri vini in Paesi dove le contraffazioni sono più frequenti, come la Cina: nell’Impero di Mezzo per ora vendiamo soltanto 3-4 mila bottiglie all’anno ma, come la Russia, dove siamo sbarcati di recente, è un mercato in forte espansione e sul quale puntiamo”.

Però la scelta di vendere ciascuna bottiglia con la propria identità virtuale è stata valutata anche per altre ragioni. “Oltre ad essere un sistema di sicurezza, il Dna digitale è un modo innovativo per comunicare con i nostri clienti, visto che ogni volta che un consumatore inserisce il codice via Internet o manda un Sms o fa una telefonata, per verificare l’autenticità di un vino, riceve molte altre informazioni, in inglese, tedesco o italiano, a seconda dell’opzione linguistica scelta: quante bottiglie sono state prodotte, l’annata, le caratteristiche organolettiche, ma anche come conservarlo, come servirlo, con quali abbinamenti proporlo”, sostiene Zanca.

E, dopo un anno di sperimentazione, le statistiche sul Brunello dicono che il 41% delle richieste di verifica arrivano dall’estero, soprattutto dal Nord America (54%), il che dimostra l’attenzione dei consumatori americani alla qualità del food made in Italy, il 34% dall’Europa e l’8% da Asia-Oceania e Africa. Soprattutto attraverso Internet (il 57% delle interrogazioni) e gli Sms (24%).

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