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Corriere Della Sera

Il boom del prosecco, italiani contro Paris Hilton ... Vino e business. Nel 1970 se ne producevano 5 milioni di bottiglie, oggi 160. I viticoltori di Valdobbiadene: ora un marchio per tutelarci... L’identità del prosecco. Questo è il problema. Adesso che tutti lo vogliono consumare e l’America lo reclama a gran voce, quello che era un lento processo verso il riconoscimento, in qualche modo esclusivo di questo vitigno, coltivato in quindici comuni nell’area di Conegliano Valdobbiadene, diventa un problema da risolvere.
“Travolgente come evoluzione”, ammette Gianluca Bisol, uno dei produttori eccellenti che mai hanno smesso di credere nel valore del territorio e di questo vitigno ormai utilizzato anche in Germania, Romania, Brasile, Argentina e Australia. Meno di quarant’anni fa se ne producevano cinque milioni di bottiglie, oggi si superano i 160 milioni, di questo soltanto il 33% è prodotto nella zona d’origine che si avvale della Doc. Il resto è compreso nell’Igt, identificazione geografica tipica, un’area intorno a Treviso. In tutto un mare di ettari: 4.800 per 3.400 produttori, una frantumazione vera e propria. La stessa che negli ultimi tempi ha fatto sognare i 140 vignaioli proprietari dei 106 ettari sistemati tra Santo Stefano e San Pietro, sulla collina di Cartizze, dove un ettaro di vigna è valutato un milione di euro.
“Ma qui nessuno vende, sono attaccati alla terra come alla vita”, dice uno di loro. Franco Adami, produttore e presidente del Consorzio di tutela: “Il prosecco è un marchio di fatto. Coltivabile nel mondo finché si vuole, ma autoctono, cioè nato qui e che risponde a una serie di regole, un appellativo che deve essere riservato a questa area, come lo è quello del Chianti e dello Champagne”.
Affinché non si ripeta un caso Tocai, a dar man forte alla querelle c’è anche il paese Prosecco, provincia di Trieste, dove gli storici hanno trovato vecchie etichette di “Glera”, vino bianco fermo, prototipo di quello che poi è diventato il prosecco. “Noi rivendichiamo questa paternità”, dice Bisol. E aggiunge che nell’arco dei prossimi sei mesi la questione dovrebbe arrivare a una svolta. Coinvolgendo produttori, Regione Veneto, Friuli e ministero dell’Agricoltura. Come? Promuovendo a Docg, denominazione garantita, l’area di Conegliano e alzando a Doc, il rango dell’attuale territorio Igt.
“Non ci interessa una riforma dei confini geografici, quanto una risoluzione in favore della tradizione”, aggiunge Bisol. “Bisogna stare attenti al troppo business”, ammette Adami. In effetti lo scorso anno quando la ricca ereditiera Paris Hilton firmò da testimonial 4 milioni di lattine “Rich Prosecco” con l’azienda tedesca Rich Sales & Marketing, il patriarca Antonio Bisol, produttore ed ex presidente del Consorzio, prese carta e penna e scrisse: “Non mi meraviglio che la Rich abbia ingaggiato la Hilton per fare il suo scoop, un sicuro business che offende però il lavoro di generazioni di viticoltori di collina”.
Insorse anche il poeta Andrea Zanzotto: “Intollerabile volgarizzazione del sublime prosecco”. A tutt’oggi la questione fa discutere, anche se il termine prosecco è finito sul dizionario americano Merriam Webster’s Collegiate come “sparkling italian wine”, vino italiano con le bollicine, “sinonimo che genera soltanto confusione”, dice Adami. Ma l’America reclama bottiglie: Bisol nel ’91 inviava cento casse, negli ultimi anni ha superato le ventimila. Il Cartizze arriva a 90 dollari, in Italia a 35 euro. I segnali, a tutto favore del prosecco continuano. Sergio Mionetto dieci anni fa ha venduto l’azienda alla Henkel. Un segnale, secondo Gianluca Bisol: “Se lo champagne è il re, noi potremmo essere il piccolo principe”. La novità è che emissari del gruppo del lusso francese LVMH, in visita a Cartizze, sarebbero interessati all’acquisto di alcune parcelle di vigna. Altro rischio per l’identità prosecco. Una ragione in più per risolvere al più presto la querelle.

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