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Corriere Della Sera

L’era del Nuovo Protezionismo … La grande crisi oscura la globalizzazione. Si torna alla difesa delle frontiere economiche. La Banca mondiale. Per la prima volta dal 1982 è prevista una diminuzione del fatturato nel commercio internazionale. I dazi. Dal formaggio negli Stati Uniti ai cellulari in Ecuador e alle auto in Russia: rivivono in balzelli sulle importazioni... In passato cerimonie del genere venivano affidate a banchieri, economisti ritenuti preveggenti, presunti guru dell’industria. Quest’anno invece il discorso inaugurale del “World Economic Forum”, e l’esperienza rara di ricevere qualche domanda, spetta a Vladimir Putin.

Anche l’affollamento senza precedenti dei politici nel quadrilatero di neve più esclusivo al mondo è un segno dei tempi: ne sono attesi 41. Ma è soprattutto quel che diranno che permetterà di misurare il golfo fra le loro rassicurazioni e la creatività nell’inventare sempre nuove misure protezionistiche per sopravvivere (politicamente) alla recessione globale.

Domani a Davos per esempio si vedrà se il premier russo ripeterà quanto già sottoscritto da Mosca al G20 dei grandi Paesi avanzati ed emergenti a dicembre: la Russia intende restare un sistema aperto e non pratica il protezionismo. La sua apparizione svizzera viene per dopo gli ultimi dati sull’import di auto dal Giappone, che a gennaio segnano un meno 95% nell’Estremo oriente siberiano. Tutto nasce dai nuovi dazi fino ai 30% e altre tasse su ogni mezzo (usato) a quattro ruote che attraversi il Pacifico fino a Vladivostok. Volta a proteggere la scadente industria interna dell’auto, quella mossa ha messo in ginocchio l’Estremo oriente russo. Su YouTube circolano le immagini, mai trasmesse altrove, della polizia speciale mandata da Mosca che aggredisce, arresta e disperde a forza un migliaio di persone riunite in una silenziosa protesta a Vladivostok.

Ma di fronte a quei fotogrammi rubati da un telefonino, la memoria non risale a Stalin. Torna seminai a Willis Hawley e Reed Smoot, i due parlamentari washingtoniani che con il Tariff Act del 1930 alzarono 900 dazi all’import negli Stati Uniti e scatenarono così una rincorsa protezionista che soffocò il commercio mondiale: gli scambi mondiali valevano cinque miliardi di dollari nel ’30 e scesero a 1,8 nel ’33. Con il Smoot-Hawley Act, il grande crac della finanza si trasformi in grande depressione dell’economia.
Stavolta il G20, l’Apec, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud e l’Unione Europea promettono solennemente che non cadranno in trappola. A Davos decine di quegli stessi ministri e capi di Stato o di governo lo ripeteranno fino alla noia. Tutto rassicurante, non fosse che il termometro del mare racconta invece una storia completamente diversa: negli ultimi quattro mesi il costo di un nolo portuale per caricare e scaricare merci è crollato, segno che i container hanno smesso di circolare. Il Wto stima che gli scambi crescevano ancora del 20% nella prima metà del 2008, eppure a novembre erano in calo rispetto a un anno prima. Nel 2009, per la prima volta dall’82 la Banca mondiale prevede che il commercio internazionale fatturerà di meno rispetto ai dodici mesi precedenti. Gordon Brown l’ha chiamata “La minaccia della de-globalizzazione” e anche lui ne riparlerà a Davos. Solo che quando il premier di Londra ha inventato quello slogan giorni fa, stava presentando un nuovo colossale piano di aiuti pubblici alle banche del Regno. Mosse come quella non solo rischiano di falsare la concorrenza con gli istituti di Paesi non intervenzionisti, come nota Pascal Lamy dell’Organizzazione mondiale del commercio in un rapporto ai governi del club. Così in realtà Brown ha anche contribuito ad affondare un altro po’ la sterlina, scesa ormai di oltre il 30% su euro e dollaro. Rolls-Royce da Derby County, concorrente di General Eletric sui motori aeronautici, ringrazia. La Gran Bretagna, che assorbe l’8% dell’export dell’area-euro, sta già facendo ciò per cui l’amministrazione di Barack Obama accusa duramente il governo di Pechino: svalutazioni competitive.
Non che l’attuale collasso degli scambi mondiali sia solo colpa delle promesse da marinaio di Putin, Brown e colleghi. “Le turbolenze finanziarie hanno danneggiato gli anelli della catena del credito che sostengono il commercio internazionale”, osserva Lorenzo Bini Smaghi della Banca centrale europea. Si spiega così per esempio che il prezzo del caffé sia crollato del 50% circa negli ultimi due mesi: le banche sono molto più reticenti nell’assicurare gli esportatori indebitati dell’Indonesia, il produttore che più incide sul mercato globale. “In molti Paesi sta diventando difficile ottenere lettere di credito”, scrive Pascal Lamy.
Ma, anche qui, c’è chi ne approfitta per introdurre distorsioni del mercato molto più sofisticate di quelle di Smoot e Hawley nel ’30. Ieri per esempio il governo di Parigi ha annunciato che metterà a disposizione cinque miliardi in garanzie pubbliche sull’assicurazione all’export di Airbus (lo stesso che con Finmeccanica produce gli aerei Atr, venduti di recente anche alla Vietnam Airlines). Prevedibile a questo punto che Washington risponda subito con una mossa simile a favore di Boeing. In Italia invece l’assicuratore pubblico Sace lavora con le banche e sostiene le piccole e medie imprese, ma con criteri di mercato. Affrontare volutamente una perdita pur di sostenere l’export in Italia non è all’ordine del giorno: “Bisogna che importatori ed esportatori tornino a comportamenti virtuosi sul loro debito”, dice l’amministratore delegato di Sace Alessandro Castellano.
A Davos Christine Lagarde, ministro francese dell’Economia, spiegherà invece che sostenere l’industria ad ogni costo è glorioso. Sulla scia degli Usa, Parigi ha appena esteso un miliardo di prestiti a Renault e Peugeot-Citroen e ne ha promessi fino ad altri cinque. Negli stessi giorni, i concorrenti di Fiat sono andati sul mercato per un prestito a condizioni sicuramente più onerose.
Torneremo davvero ai colpi bassi degli anni ’30? Solo i più poveri o i più ricchi giocano a viso aperto: a novembre l’Ecuador ha alzato 940 dazi, dal tacchino ai cellulari, e il Congresso Usa ha triplicato le tariffe sul Roquefort. Altri invece predicano virtù: Kamal Nath, ministro del Commercio dell’India, tornerà a Davos ad accusare di protezionismo l’Occidente: ha appena alzato barriere sull’acciaio, magari perché il gruppo dell’indiano Lakhsmi Mittal ne è primo produttore mondiale. Al Forum anche Celso Amorim, ministro degli Esteri del Brasile che ha fatto salire del 5% dazi su vino, pesche, tessili nel Mercosur, invocherà il libero scambio. Perché trovare l’autore del “delitto” di leso commercio non è più un gioco da ragazzi, come ai tempi di Hawley e Smoot.

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