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Corriere Della Sera

Il Sudafrica supera l’apartheid anche nel vino ... Infranto un bastione della discriminazione: i vigneti finora tramandati per tre secoli tra i “colonizzatori”... “Bianco, Chardonnay, rigorosamente “Thandi””. È la bevanda preferita da Vernon Henn, general manager da record, al vertice della prima azienda vinicola sudafricana completamente posseduta e gestita da una comunità di colore. “Thandi”, che in lingua Xhosa significa “coltivare amore”, è il nome della ditta, nata nel 1995 nella Elgin Valley, a circa un’ora da Città del Capo. Produce almeno una decina di vini diversi - dal Cabernet Sauvignon, al Pinot nero, al Merlot - e nel corso degli anni si è allargata inglobando nuovi terreni, fino alle rive del fiume Olifants, nella parte sud-orientale del Paese. Il principio guida, fin dalla fondazione, è stato “investire sui gruppi di contadini più svantaggiati” e nel 2003 il vino Thandi è stato riconosciuto come un prodotto del commercio equo e solidale. Il signor Henn, 40 anni, di colore, ha preso le redini dell’azienda nel 2007 e ora ne dirige la trasformazione in un’impresa “totalmente nera”.

“Ad oggi - spiega al Corriere - i contadini di colore che lavorano per Thandi possiedono il 55% delle azioni. Il resto è in mano alla Company of Wine People (una delle maggiori aziende vinicole del Sudafrica che esporta anche in Italia, ndr). Dal prossimo ottobre, invece, saranno gli stessi dipendenti ad assumere l’ intero controllo azionario”. Duecentocinquanta famiglie nere distribuite in tre villaggi: l’intera manodopera della ditta.

Per il Sudafrica è un risultato storico. Lasciatosi alle spalle l’apartheid nel 1994, il Paese manifesta infatti, anche nel settore enologico, alcune delle contraddizioni e dei peggiori lasciti della sua storia di segregazione razziale. Quella del vino è un’industria florida: il Sudafrica è il nono produttore al mondo e nel 2008 ha esportato circa 400 milioni di litri della bevanda, contro i 50 milioni di quattordici anni prima. Nel settore, inoltre, lavorano oltre 250 mila persone. Restano però le divisioni: tra la minoranza dei proprietari bianchi e la maggioranza dei lavoratori neri. Questi ultimi non sono più schiavi come quando, tre secoli e mezzo fa, il conquistatore olandese Jan van Riebeeck piantò vicino a Città del Capo il primo vigneto, ma raramente sono possessori delle aziende o ricoprono ruoli dirigenziali.

Una situazione fotografata due anni fa nel “Wine Industry Transformation Charter”, un documento contro la discriminazione razziale promosso dal South African Wine Industry Council, l’organizzazione unitaria delle aziende vinicole del Paese. Tra i provvedimenti adottati e contenuti nel testo, la stesura di una classifica delle ditte del vino che misura il loro grado di adesione al “Black economic empowerment” (Bee), il programma lanciato dall’African national congress - il partito leader dal ’94 - per ridurre le disuguaglianze economiche derivate dall’apartheid.
La segregazione razziale è finita quattordici anni fa. Perché solo oggi i primi risultati? “I lavoratori di colore hanno avuto bisogno di tempo per acquisire competenze - spiega il general manager Henn -. Eredi di un passato di povertà e privo di istruzione, quando il possesso dei vigneti si tramandava solo tra i bianchi, non erano pronti a salire al comando”. Per l’ex presidente Thabo Mbeki, che rilanciò il piano Bee, ma anche per Jacob Zuma, attuale capo dello Stato e, soprattutto, per l’ eroe anti-apartheid Nelson Mandela, Henn ha solo parole di elogio: “Ognuno di loro ci ha garantito partecipazione e ci ha offerto una vita migliore. Ricordo ancora le mie prime elezioni. Avevo 26 anni ed ero malato, ma andai comunque ad assicurare il mio voto a Mandela. Ero pieno di orgoglio e di speranza per il nuovo governo e la nuova democrazia”.

Adesso il suo sogno si concretizza tra calici e grappoli d’uva. E punta a crescere. “Thandi ha un giro d’affari di 6,5 milioni di rand (circa 590 mila euro) ed esporta soprattutto nell’Europa centrale e settentrionale - dice Henn -. La prossima sfida è raggiungere Francia e Italia. Anche se, vista la loro storica tradizione, non sarà affatto facile”.

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