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Corriere Della Sera

Si Consob ai certificati sul vino, ma attenti alla bolla ... Bollicine sì ma bolla no. I certificati “en primeur” non hanno niente a che vedere con i future, e la loro vendita (anche se fatta da una banca) non implica alcun prospetto informativo: non sono “prodotti finanziari” e non danno alcun rendimento. E questo l’orientamento della Consob che su richiesta di Antonveneta ha precisato che i certificati del vino possono sì essere venduti allo sportello e che l’unica cosa da garantire al “legittimo portatore” è il rimborso del suo “valore nominale” nel caso in cui l’azienda agricola non sia in grado di consegnare le bottiglie promesse. Quella dei certificati “en primeur” è una pratica ancora poco diffusa in Italia. L’hanno fatta i big del Brunello, da Banfi ad Antinori a Frescobaldi (incluso Castellare per i Sodi di San Nicolò) ma solo per particolari annate. Ben diversa è la situazione all’estero dove non hanno alcun problema a chiamarli wine future. Ne sanno qualcosa i francesi che l’anno scorso dopo la bolla finanziaria e quella immobiliare hanno dovuto combattere anche la bolla del Bordeaux. La vendita del certificato “en primeur” (di vini pregiati che necessitano anni prima di arrivare in bottiglia) è una situazione win-win (il produttore incassa subito e l’acquirente paga a un prezzo favorevole vini che finiranno con quotazioni molto più alte), ma i margini di speculazioni ci sono per chi gioca al rialzo scommettendo su bottiglie ad altissimo livello, e ad altissimi prezzi. Come è appunto successo in Francia dove il Bordeaux del 2005 aveva portato il prezzo dei future alle stelle. Prezzi rimasti sugli stessi livelli nonostante le annate successive non fossero all’altezza. Di qui la bolla che ha messo a rischio soprattutto i più piccoli produttori di chateaux. Ma il vino è soprattutto una nicchia per appassionati e come dice Alessandro Regoli di WineNews “è un investimento imperfetto e rischioso perchè il vino può deperire”.

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