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Corriere Della Sera

Dal risotto alla costoletta, Milano rilancia le “doc” locali … Sono adesso dieci i piatti inseriti nella “De.Co.”, la certificazione dei prodotti di territorio ideata da Veronelli... Ha ragione Carlo Cracco quando dice che “non basta un marchio per garantire la qualità di un piatto”. Però, almeno, ne certifica l’appartenenza, dà l’idea di una tradizione, di un luogo, di un passato che si fa largo nel presente. Per questo il Comune di Milano ha deciso di rispolverare la De.Co, cioè la Denominazione Comunale, la legge che pennette ai Comuni di valorizzare e difendere prodotti enogastronomici legati al territorio. La De.Co è stata ispirata da Luigi Veronelli che cominciò a parlarne nei suoi interventi fin dal 1959. In realtà non è solo un marchio, è una specie di documento. Come la carta d’identità, rilasciata dal Comune, certifica la provenienza di un prodotto, di un piatto. E così a Milano, in vista anche dell’Expo 2015, il Comune ha deciso di raddoppiare i piatti con la carta d’identità De.Co: dopo risotto giallo, ossobuco, cassoeula, michetta e panettone, sotto l’ombrello della Denominazione Comunale arrivano minestrone, costoletta alla milanese, mondeghili (polpette a disco, differenti dalle classiche rotonde), rostin negàa (nodini di vitello “annegati”) e la barbajada (bevanda a base di cioccolato). Veronelli sosteneva che “chiunque rinunci ad una scelta ragionata, giorno via giorno, luogo via luogo, dei propri cibi e delle proprie bevande, condizionato da ciò che viene imposto dai mezzi di Comunicazione di massa, rinuncia alla propria libertà”. Inoltre, soprattutto di fronte a piatti non facili, come quelli della cultura gastronomica milanese, il rischio dell’abbandono e della dimenticanza è molto concreto. Si tratta di ricette con preparazioni complesse, estremamente caloriche, di piatti che un tempo, quando gli esseri umani avevano più fisico e meno ossessioni, venivano consumati più spesso. Adesso chi affronta un ossobuco già una volta alla settimana è considerato una specie di avventuriero. Trovare una buona cassoeula, a Milano, non è semplice, per non parlare dei mondeghili o del rostin negàa. Ma anche un risotto secondo tutti i crismi della milanesità bisogna andarlo a cercare con attenzione, non si trova nel ristorante all’angolo. Non per niente, da due anni, esiste “Un risotto per Milano”, proprio per (ri)avvicinare chi magari non la conosce, al piatto simbolo della città. Ben venga la De.Co e il marchio appicciato sulle porte dei locali che proporranno questa cucina. Perché una grande città che rinuncia alla sua tradizione culinaria è una città che rinuncia alla sua cultura. E Milano, in occasione dell’Expo 2015 non dovrà solo mostrare grattacieli e sottopassi, ma quello che c’è dentro e sotto. Non dovrà aver paura di proporre ai milioni di visitatori di tutto il mondo un bel piatto fumante di cassoeula con il suo carico di costine, abbondanti cotenne, verze e tutto il resto. Perché la vera modernità è la memoria. Non c’è nulla di peggio della cosiddetta “cucina internazionale”, quella senz’anima. Milano, con la sua cucina, è sempre stata timida, come se avesse paura di rivelare un’anima golosa, pesante, carnale. Come se si vergognasse cli questi piatti che si sono intrecciati con la sua storia. Invece questa è la vera Milano da offrire al mondo.

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