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Corriere Della Sera

“Pizza corruttrice”: è a tavola la nuova trincea di Ahmadinejad ... La campagna “patriottica” dei regime Iraniano... Vietati in tv i piatti stranieri “Non sono conquiste islamiche”... Dio stramaledica l’Artusi. Il programma d’arricchimento nucleare è niente: a impegnare l’Iran è l’impoverimento alimentare. Un bombardamento di maccheroni & pummarola che spaventa i cucinieri dell’ortodossia sciita. Mubarak dichiara guerra ai reporter incendiari di Al Jazeera? Gli ayatollah aprono gli estintori sul fuoco amico dei fornelli tv. E sott’accusa mettono quei pericolosi chef controrivoluzionari che vanno in video a spadellare all’italiana: “Da oggi - ha annunciato Ali Darabi, vicepresidente dei canali di Stato - sono banditi i programmi in cui s’insegna a preparare piatti stranieri”. Carbonari della carbonara, guai a voi. La pistola, o meglio la pentola fumante, sta nella prova del cuoco Saman Golriz, un iraniano che ha studiato in Canada ed è diventato popolarissimo con le sue personali interpretazioni di crèpes e quattro stagioni: “La nostra televisione dovrebbe mostrare, agli stranieri e in patria, le grandi e importanti conquiste della rivoluzione islamica”, ha ammonito il signor Darabi, bloccando semmai “l’invasione culturale” americana, francese, italiana e ricordando sempre che la migliore bruschetta non vale mai il peggior kebab... Vade retro fast food, al rogo i sushi bar, lapidate i pizza express. Ahmadinejad si lagna della lasagna. E della pasta. E dei ristoranti in stile occidentale che negli ultimi decenni - basta sfogliare una rivista o passeggiare in qualunque centro - han cambiato la gastronomia non solo nazionale, ma di tutto il Medio Oriente. E l’eterna guerra al Satana corruttore, come la fatwa di qualche mese fa contro i cagnolini d’appartamento. Una sfida per l’identità alimentare che in Iran è presa molto sul serio. Perché c’è da salvare una grande tradizione culinaria. E perché anche il cibo è politica: My City Pizza di Ala Mohseni, film che ha girato diversi festival europei, attraversando locali come Yum Food racconta una Teheran iperoccidentalizzata, perfino attenta alla linea, pazza della pizza e pronta, prima o poi, a tornare in piazza. Il regime ha già cercato di ribattezzare con un nome autarchico l’orgoglio napoletano - kesh logmè, pagnotta elastica - ma il successo è stato pari ai tentativi di vietare le insegne straniere sui negozio le pubblicità in inglese: zero. Un torchio fiscale è stato imposto a chi produce orecchiette o parmigiano made in Iran. E c’è un interesse economico a promuovere il mercato dei prodotti halal, quelli “leciti” per il musulmano, che soltanto in Europa è sui 25 miliardi d’euro l’anno e che da Ramallah a Gaza, da Amman a Beirut impone a molti menù il cannellone islamicamente corretto. Una moda: “Ma la pizza doppia mozzarella è hala1?”, è una delle tante domande che si possono leggere sui forum di siti come Is1am786 (risposta: “Dipende da dove il pizzaiolo va a comprarla”). Con una questione di fondo: sarà a tavola, la nuova trincea della rivoluzione islamica? “Non credo che questa nuova campagna darà grandi risultati - prevede Itay Dayan, esperto israeliano di cose iraniane -. I modelli occidentali, dagli alimentari alla moda, fanno parte della vita quotidiana di Teheran”. Senza dimenticare, scrivono sui blog dell’opposizione, che la pizza è tricolore. Come la bandiera dell’Italia. O dell’Iran.

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