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Corriere Della Sera

Pellegrino Artusi protagonista di un giallo “culinario” ... Romanzo Un delitto e un tentato omicidio in un castello nell’opera noir di Marco Malvaldi... Chi sarà mai quell’omaccione con grandi baffi bianchi del tipo che ai suoi tempi venivano definiti come “favoris en còtelette” che scende dalla carrozza con una valigia in una mano e un cestino con due gattoni nell’altra? Ebbene è Pellegrino Artusi autore del celebre La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene di cui proprio quell’anno, il 1895, era uscita la seconda edizione. Arrivava in un caldissimo venerdì di giugno al castello posto su un alto colle sopra Boigheri dove l’aveva invitato il barone Bonaiutì, conosciuto a Montecatini, dove entrambi erano soliti andare a passare le acque. Ed è anche, l’Artusi, in buona misura, il protagonista del quarto romanzo del giallista Marco Malvaldi, Odore di chiuso, anche questo come gli altri edito da Sellerio. Le prime pagine sono dedicate alla descrizione degli abitanti del castello: una descrizione fatta con precisione e molto divertimento, tanto da disegnare dei veri ritratti della famiglia e della numerosa servitù (dove fa spicco una cuoca dalla bravura strepitosa). Oltre a una vecchia madre in sedia a rotelle, il barone possiede due orride sorelle zitelle, una figlia femmina che risulterà essere l’unica con la testa sulle spalle e due figli maschi dì cui uno, Lapo, a detta della sua nonna, è “capace solo di sbottonarsi i pantaloni” e l’altro, Gaddo, vive col vano sogno di scrivere poesie e; per questo fine, di conoscere il poeta per antonomasia, Giosue Carducci. A proposito del quale c’è una pagina indimenticabile: Gaddo nei vicoli di Bolgheri vede il suo sogno materializzarsi e camminare verso di lui. Ma mentre sta a rimuginare che cosa dirgli, lo vede anche avvicinarsi a un portone e mettersi a far pipì contro lo stipite di pietra; esterrefatto gli si avvicina e “Ma che cosa diavolo state dicendo? Disse con voce tremante di rabbia e di sorpresa”. E “per nulla turbato il poeta cominciò: “Non vedi, caro, che stai disturbando? / Su un portone, tranquillo, sto pisciando...”“. Marco Malvaldi (Pisa 1974) scrive in una lingua molto saporita, ispirata alla lingua stessa dell’Artusi, che come si sa, scrisse in buon italiano proprio all’indomani dell’unità d’Italia per farsi capire da tutti perché “vivaddio, tutti siamo italiani e abbiamo diritto di mangiar roba buona e cucinata bene”. Però, essendo un trentenne di oggi, la condisce volentieri con espressioni della sua parlata quotidiana, tipo “roba da buzzurri” o “soleva incazzarsi”, per poi aggiungere: “Perdonate lo sfogo, non se ne può più di questo linguaggio di fine Ottocento e dopo un po’ bisogna cambiare aria”. E la storia? Basterà dire che in quel tragico fine settimana avverranno un delitto e un tentato omicidio, quest’ultimo da parte di una giunonica cameriera che scarica la doppietta sulla schiena del signor barone. il poliziotto locale, accompagnato dal giovane medico barbuto, fra interrogatori e intuizioni un po’ sue e molte dell’Artusi, arriverà a tirar le fila della vicenda, resa ancor più ingarbugliata dalla presenza di un fotografo, che risulterà ben più gaglioffo che artista!

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