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Corriere Della Sera

Quando Fanfani “scoprì” il Brunello di Montalcino ... In Italia. Da Einaudi a Ciampi: così il Quirinale e Palazzo Chigi divulgarono le nostre eccellenze. La lista presidenziale Oggi a disposizione del presidente della Repubblica ci sono circa 300 bottiglie, tutte dai prezzi morigerati ... Quasi un milione di euro. È il valore della cantina del Foreign Office, ma dalla sola vendita di alcune tra le sue migliori bottiglie potrebbe arrivare almeno metà di questa cifra. Sarebbe possibile fare lo stesso con i vini del Quirinale, o di Palazzo Chigi? “Decisamente no - risponde Alessandro Scorsone, per molti anni esperto di vini alla presidenza del Consiglio - perché le cantine del Capo dello Stato non hanno grandi vini francesi come Château Lafite o Château Latour”. Sarebbe impensabile per un Paese come l’Italia, “con i suoi eccelsi vini, promuovere cru stranieri: nei ricevimenti ufficiali sono di fatto vietati”. Ciò detto, resta il fatto che nella cantina appannaggio del presidente della Repubblica, sottolinea Scorsone, “ci saranno sì e no, a rotazione, 2-300 bottiglie”, perché nei Palazzi c’è una linea di sobrietà che “impone di mettere in lista vini rispettosi anche delle tasche degli italiani, seri e morigerati”. Per Palazzo Chigi “andavo alla ricerca di cantine importanti ma con ottime soluzioni intorno ai 20-25 euro”. Niente miniera da cui attingere per ripianare i deficit di Stato, dunque. Ma non è stato sempre così. In passato le cantine della presidenza del Consiglio e del Quirinale sono state un esempio e un eccezionale veicolo promozionale per i grandi vini italiani. Daniele Cernilli, tra i più influenti giornalisti esperti di vino, ricorda che “Luigi Einaudi fu uno dei presidenti italiani più legati al vino: era anche noto produttore di Barolo; i discendenti tuttora vendemmiano l’azienda di famiglia e fanno anche Dolcetto di Dogliani”. Poi arrivò, 9 anni dopo, un altro piemontese: Giuseppe Saragat. “Un aneddoto racconta che dopo il suo settennato fu necessario rimpinguare le scorte della cantina presidenziale - ricorda Cernilli - perché Saragat era stato un ospite generoso e sapeva scegliere le bottiglie migliori”. Ma Saragat era stato anche il primo grande promotore dei vini italiani nel mondo; complice l’intuizione del presidente del Consiglio Amintore Fanfani, che scoprì e ordinò per stupire una delegazione estera un vino fino a quel giorno sconosciuto ai più: il Brunello di Montalcino. “Mi chiamarono all’inizio degli anni ‘60 gli uomini del premier - ricorda Marco Trimani, storico enotecaro romano - e mi chiesero quel vino. Lo trovai in una vecchia guida del Touring club ma non ne sapevo nulla: ne scovai 36 bottiglie a Firenze, pagandole una fortuna per l’epoca”. Nacque così la prima aura di leggenda intorno al Brunello. Nel ‘69, in visita di Stato a Londra, Saragat volle fossero selezionati solo cibi e vini italiani (un azzardo: gli inglesi bevevano unicamente grandi cru francesi). Il 29 aprile, nell’ambasciata italiana, alla regina Elisabetta e al consorte Filippo vennero offerti: Pinot Grigio del Collio D’Attimis Maniago 1966; Brunello di Montalcino Biondi Santi 1955; spumante Ferrari, ma fu scritto Spumante Riserva 1962. “Perché si era reduci - ricorda Trimani - da un grave scandalo di adulterazione del vino, protagonista un omonimo, tal Ferrari di Dosimo”. Il Brunello di Montalcino tornerà protagonista, 31 anni dopo, al Quirinale: 16 ottobre 2000, Elisabetta II è in visita ufficiale; Carlo Azeglio Ciampi, presidente, fa mettere in tavola 2.700 ravioli... e il Brunello. Al dolce (babà al rhum) un altro ricorso storico: spumante Ferrari, Cuvée 2000, stavolta col suo nome. Gli esperti ricordano che Ciampi, livornese, è anche un estimatore del Sassicaia. “Ma i nostri politici - conclude Cernilli - non sono mai stati esperti a livello di un François Mitterrand: il presidente francese aveva un tavolo fisso dal noto chef Robuchon e lì, talvolta, riceveva gli ospiti in visita di Stato”.

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