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Corriere Della Sera

La quinta generazione si stappa una bottiglia d’artista ... Paolo Dorigati: “Qui tutto viene fatto a mano, dal tiraggio al confezionamento” ... paolo, 24 anni, quinta generazione della famiglia Dorigati, non era neppure nato quando la prima bottiglia di Methius fu lasciata a fermentare in cantina. Era il 1986, l’inizio delle bollicine per una generazione di viticoltori che di vini, nella piana di Mezzocorona, ne producevano già dal 1858, ma per lo spumante, come dire, non si sentivano ancora pronti per entrare nel club dei dieci (allora) con metodo, Trentodoc, e della quale oggi ne fanno parte poco meno di quaranta, tutti fedelissimi al disciplinare di origine controllata. Poi un giorno, Carlo, il papà di Paolo, dopo aver incontrato il suo antico Enrico Patenoster, ed essersi guardati negli occhi, decise che bisognava proporre qualcosa di importante.
“Uno spumante affinato per cinque anni sui lieviti, la cui prima bottiglia si è potuta stappare soltanto nel ‘91”, osserva Paolo, abituato a muoversi fra ricordi e un futuro garantito da una ricetta classica, nata nel bel mezzo di Coronae e Sancri Petti (è il significato dell’acronimo sull’etichetta, ndr): ovvero 60% di chardonnay e 40 di pinot nero. Dalla prima bottiglia, riprodotta in 5 mila esemplari, si è passati ai 10 mila, e poi, dal Duemila, le stabili quattordicimila. Quasi delle prove d’artista, si direbbero, se non fosse ‘per la risposta sincera (beata gioventù) dell’ultimo Dorigati: “La verità è che in cantina non ce ne starebbero di più per motivi di spazio”. È una battuta dietro la quale si nascondono ben 27 virtuosi passaggi a mano per la lavorazione numerata del Methius, il cui Brut riserva 2005 si è aggiudicato quest’anno i tre bicchieri Gambero Rosso. “Qui tutto viene fatto rigorosamente a mano, dal tiraggio al confezionamento, compresa la fermentazione in barrique”. E allora, proviamo a risalire con Paolo Dongati a quando tutto è cominciato per il Methius premiato: dalla vendemmia (“prima ,decade di settembre del 2005, un’annata ordinaria”, dice) fino alla stappatura. “Le uve chardonnay e pinot sono state vinificate in bianco, e un 30% in barrique, dopo, fino ad aprile 2006 i vini sono stati purificati in legno e acciaio, prima del tiraggio a giugno e la successiva fermentazione in cantina, a non più di 16 gradi di temperatura”, ricorda Dorigati, il quale aggiunge che “uno dei nostri segreti è proprio nella sospensione dei lieviti, durante i cinque anni di maturazione, nel corso dei quali, una volta ogni dodici mesi le bottiglie subiscono il classico remuage”. Ed è così da sempre, compreso il prossimo, che diventerà un vero Methius soltanto nel 2016. “Certo, il tempo quest’anno è stato birichino, ma c’è da giurarci che la sboccatura non ci tradirà”. Già, la prova del nove, da effettuare in agosto, quando si aggiunge al vino del liqueur d’expedition , per capire il grado di quantità zuccherina.
Il resto è nel dna del vino made in Dorigati: “Qualità organolettiche abbinate alla freschezza della bevibilità”. Sembra uno slogan, ma basta chiederlo in giro quanto sia apprezzata la bottiglia delle vigne coltivate fra Mezzocorona e le colline Avisiane. “Clienti famosi? Diego Abatantuono è Michele Santoro”, risponde Dorigati, il quale chiude con un sogno:
“Mi piacerebbe accostare al Methius classico, una linea parallela, per esempio un rosé”.

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