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Corriere Della Sera

Il Carapace e il Dardo. La cantina di Pomodoro ... Scudo di rame, legni intrecciati, una freccia nel terreno. La prima scultura al mondo in cui si produce vino ... Un’astronave lacerata, una sfera in rame e legno grande come una collina, con feritoie tormentate che ricordano quelle della terra. Un enorme dardo conficcato all’esterno, un puntino rosso visibile da decine di chilometri. E all’interno una volta con centinaia di legni intrecciati ad arco da carpentieri dolomitici per sostenere il guscio. “Le strutture lignee come una sorta di speroni estroflessi sollevano e frastagliano la grande volta sospesa”, descrive il critico d’arte Gillo Dorfles. E poi, più in basso, triangoli e cunei sovrapposti, con la forza di un quadro di Balla. Fino al cuore sotterraneo, una ziqqurat, la piramide sacra delle religioni mesopotamiche. Eccolo il “Carapace”, l’ultima opera di Arnaldo Pomodoro, 85 anni. E la cantina della Tenuta Castelbuono, dei Lunelli (i trentini delle bollicine Ferrari). “La prima scultura al mondo nella quale si vive e si lavora”, racconta il patriarca Gino Lunelli, ora presidente emerito dell’azienda, “il mio lascito”. Intorno, nelle umbre Bevagna e Montefalco, ci sono 30 ettari di vigne antiche di Sagrantino e Sangiovese.
Perché un carapace? “Non volevo disturbare la dolcezza delle colline - ha spiegato ieri Pomodoro alla Triennale di Milano, dove è stata presentata l’opera -. Qui il paesaggio ricorda quelli dei quadri rinascimentali, come nella mia Montefeltro. Ho avuto l’idea di una forma che ricorda la tartaruga, simbolo di stabilità e di longevità che, con il suo carapace, rappresenta l’unione tra terra e cielo”.
A differenza di alcuni lavori di archistar, non c’è la volontà di esprimere potenza, riflette Aldo Colonnetti, direttore scientifico dell’istituto europeo di design: “E un raro esempio di uno scultore che fa l’architetto, senza puntare sull’effetto scenografico o mimetizzare fino a sparire, solo pensando al rispetto per il paesaggio e all’uso dell’opera”.
Per i Lunelli “un investimento importante, un’opera di mecenatismo: invece di acquistare un’opera d’arte e metterla in cantina abbiamo trasformato un’opera d’arte in una cantina”, dice Matteo Lunelli, 37 anni, il neopresidente delle Cantine Ferrari. E così: “Per la prima volta ho avuto l’emozione di poter camminare, parlare e bere all’interno di una mia opera”, racconta Pomodoro.
I lavori sono ormai ultimati (“rispettando i costi, senza sforare, con cura e rigore”, assicura Pomodoro), l’inaugurazione ufficiale con i colori della primavera, il i6 giugno prossimo. In cantina il vino è già nelle barrique. Attorno alle piccole botti svetta il punto di degustazione, un’ellisse di rame che sale verso la luce, ispirata, appunto a una ziqqurat.
“Per uscire dal Trentino cercavamo una terra con forte personalità e vitigni storici”, racconta Marcello Lunelli, il vice presidente, che assieme a Matteo, Camilla (comunicazione) e Alessandro (produzione), forma il quartetto dei cugini, terza generazione dei Lunelli ad occuparsi di bollicine. “Dopo un’esperienza in Toscana abbiamo puntato sull’Umbria e sul Sagrantino di Montefalco” che esiste da secoli, evocato nel 1452 da Benozzo Gozzoli nell’affresco di San Francesco che predica agli uccelli e benedice Montefalco. Un decennio fa sono stati acquistati i vitigni, poi sono arrivati gli enologi di San Michele all’Adige, il “college” da cui esce ogni uomo del vino dei Lunelli, per la selezione genetica delle uve. È nato il “progetto dei patriarchi”. “L’idea - dice Marcello Lunelli - è portare ai tempi nostri il vino del passato”. Sono così finiti in bottiglia due vini. Un Sagrantino in purezza che matura 12 mesi in tonneau, i6 in botte grande e si affina per io mesi in bottiglia: potente e longevo, ricco di tannini. E un Rosso meno strutturato, più “sbarazzino” (12 mesi in tonneau e barrique, 6 mesi in bottiglia) per il 70% Sangiovese con Sagrantino, Cabernet e Merlot. Protetti dallo scudo di rame di Pomodoro.

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