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Corriere Della Sera

“Così conquisterò il trono dell’imperatore del vino” ... Un ex manager al posto di Parker, il super critico Robert Parker, il critico più potente nel mondo del vino, quello che con un voto decide il destino di un’azienda, è pronto a lasciare. Al suo posto arriva un ex manager di Deutsche Bank, Antonio Galloni, di origini siciliane. Parker, 65 anni a luglio, è il geniale inventore del punteggio su scala centesimale e dello “stile internazionale”, sorta di omogeneità mondiale delle bottiglie di alto livello. Dirige Wine Advocate, venduto in 37 Paesi. E un ex avvocato di Baltimora che per primo ha scritto dei vini di tutto il mondo, mentre i colleghi anglosassoni degustavano quasi solo i francesi. E Galloni? E più legato al territorio, alla diversità dei vitigni. Da settimane l’Italia del vino ipotizza l’ascesa di Galloni, 41 anni, con casa in California. Ora è lui stesso a confermarla. “Robert Parker mi ha designato come suo erede già un anno fa - spiega -. Quando gli è stato chiesto a chi toccava prendere il suo posto ha fatto soltanto il mio nome. E normale che voglia rallentare il ritmo di lavoro, lo farei anch’io alla sua età. Comunque il passaggio di consegne avverrà in modo naturale, senza colpi di acceleratore e senza lentezze”. Galloni dice di se stesso di essere “cresciuto nel vino”. I genitori, racconta, gestivano un’enoteca con bottiglie italiane e francesi. Nel 2000, arrivato a Milano, Galloni cambia idea sul lavoro: “Trovavo sempre minori soddisfazioni a occuparmi di cose finanziare, e sempre maggiori a scrivere di vino”. Ritorna, dopo tre anni negli Stati Uniti ed edita una newsletter sui vini piemontesi. Parker lo nota e lo fa entrare nel suo staff a Wine Advocate. Gli affida due deleghe: Italia e Champagne. “Così nel 2006 ho mollato tutto, basta con gli hedge funds”. Esattamente come fece. Parker dimettendosi nell’84 dalla Farm Credit Banks. Quella parkeriana è stata una macchina da guerra da io mila assaggi l’anno attorno a cui è girato per un trentennio il mondo dei vignaioli e dei consumatori. L’aumento dei vini alcolici e dall’inconfondibile affinamento in barriques è stato proporzionale ai suoi buoni voti. Per alcuni il suo è un gusto che appiattisce. Alice Feiring gli ha dedicato un libro dal non lusinghiero titolo “La battaglia per il vino e l’amore, ovvero come ho salvato il mondo dalla parkerizzazione”. Ed Elin McCoy ha rincarato la dose dando alle stampe “L’imperatore del vino: l’affermazione di Robert M. Parker Jr e il regno del gusto americano”. Sta per iniziare una “rivoluzione epocale”? Galloni sembra frenare: “I gusti miei e di Bob non sono poi così differenti, su io vini ci troviamo d’accordo su 7 o 8. Un esempio? L’altra sera a cena a New York, scegliendo tra i suoi 15 top, ha portato un Barbaresco di Giacosa e alcune riserve di Brunello di Montalcino Soldera. Pienamente d’accordo. Se ceni con lui scopri che il suo palato è molto più ampio di quello che si crede. Attento alla tradizione, non solo allo stile di vini concentrati e fruttati”. Tutto come prima quindi nell’era post-imperatore? No, conferma Galloni. Ecco perché: “Ci sono così tanti luoghi che hanno raggiunto buoni livelli che è necessario marcare le differenze. La parola chiave è territorialità, bisogna ottimizzare quello che ogni regione può dare al meglio. Il Sauvignon si può produrre in molti luoghi d’Italia, ma non raggiungerà mai I livelli di Alto Adige e Friuli”. Terre differenti, vini dai caratteri diversi. E per farsi un’idea di chi finirà sul podio del futuro guru, ecco i preferiti tra “gli italiani emergenti: Nerello Mascalese, vitigno che dà il meglio ai piedi dell’ana grazie ad Andrea Franchetti di Passopisciaro e Marco De Grazia di Terre nere, e un grande classico, l’Aglianico di Taurasi, in Irpinia”.


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