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Corriere Della Sera

Il primato dell’Amarone. Ne parla anche Franzen ... L’ultima sfida per l’Amarone è guadagnare il titolo di più noto vino italiano nel mondo. Per qualcuno lo è già, per altri il duello è a distanza con il Barolo, altra griffe riconosciuta. Hemingway non se lo faceva mancare e ne scriveva come Jonathan Franzen, autore di “Libertà”, ultimo successo editoriale, dove questo rosso, complesso e speziato, è più volte citato. Un vino cresciuto nei fatti e nelle cifre: da poco più di 2 milioni di bottiglie prodotte nel 1999 a poco meno di venti milioni dell’ultimo periodo. “Una crescita eccessiva”, secondo Sandro Boscaini, di Masi Agricola, che rischia di minarne qualità e prestigio. L’area classica della Valpolicella si avvale delle vigne sistemate nei comuni di Negrar, Marano, Fumane, San Pietro e Sant’Ambrogio. Il top riconosciuto, per la cui difesa sono scese in campo le più importanti famiglie cli produttori. Allegrini, Begali, Brigaldara, Masi Agricola, Speri, Venturini, Tedeschi, Musella, Nicolis, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Zenato si sono associati come Famiglie dell’Amarone d’Arte. Due gli obiettivi: stabilire rigidi canoni di autodisciplina in difesa dell’eccellenza e promuoverne l’immagine nel mondo come uno dei messaggeri del made in Italy. Proprio adesso che l’Amarone da qualche anno può vantarsi della Docg, la denominazione d’origine controllata e garantita, è sempre più consistente il tentativo, anche all’estero, di contraffarne la tipicità. Favorendo così l’immissione sul mercato internazionale di pallide imitazioni di questo rosso, creato attraverso l’appassimento delle uve, che ne conferisce caratteristiche uniche. La storia millenaria, la versatilità in tavola con piatti di selvaggina e carne e la gara, tutta tra autoctoni che lo compongono, Corvina, Rondinella, Molinara e Oseleta, aumentano la forza e il desiderio da parte dei rappresentanti di difenderlo a spada tratta. Tra gli ultimi segnali da parte delle Famiglie dell’Amarone, c’è l’acquisizione della Bottega del vino di Verona, tempio dell’enologia, finito in liquidazione. Secondo Boscaini un salvataggio doveroso, “in difesa dei uno dei simboli dell’enologia scaligera destinata in un futuro vicino, a diventare capitale del vino
nel mondo”.

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