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Corriere Della Sera

I 100 vini migliori. Un Porto sul podio ... La classifica della nuova Enciclopedia ... Un altero rosso francese, uno Champagne onirico, un piemontese di lunga vita? Macché, il miglior vino del mondo è un Porto. E il risultato dei “15 anni di studi” di Luca Gardini, il sommelier campione planetario nel 2010. Con Pierluigi Gorgoni, docente, e i giornalisti Andrea Grignaffini e Marco Pozzali, Gardini pubblica l’“Enciclopedia del vino” (Dalai). Atipica, perché oltre alla parte didattica (storia, viticoltura, enologia, descrizione dei vitigni e approfondimenti su degustazione e abbinamenti con il cibo) contiene tre classifiche: “1000 migliori vini, ioo produttori top, ioo Best Wines”. L’ultima, che sarà aggiornata periodicamente, riguarda le bottiglie delle ultime tre annate in vendita.
Il Porto sul podio è di quelli che incantano e fanno esclamare allo scrittore Fernando Pessoa “Oh, sogno-pigiato vino-anima!”. E il Vintage Nacional. Azienda settecentesca, Quinta do Noval, in.mano alle assicurazioni Axa: 3 ettari in una spettacolare collina a gradoni. Raro, solo nelle grandi annate, “graffio e carezza per il palato”, secondo Gardini. Nel gruppetto dei primi dieci ecco i Pinot neri francesi: Romanée-Conti (“raso e velluto”), lo “struggente” Musigny, il biodinamico Chambertin di Leroy, il “sensuale” La Tàche, il “raffinato” ChamberUn di Rousseau. Poi lo Champagne Dom Perignon OEnothèque, il passito tedesco Fritz Haag, e altri francesi: il Cabernet Sauvignon Chàteau Margaux e il Chardonnay Montrachet, di cui si producono meno di 3.000 bottiglie. Nella classifica Best gli italiani sono 23, molte celebrità e qualche vignaiolo inerpicato sul Carso o sentimentalmente perduto in un paesino sardo (posizioni e annate accanto al grafico). In testa un drappello di piemontesi, guidato dai Mascarello con il Ca’ d’Morissio. Famiglia che ha fatto la storia del Barolo, assieme ai Conterno, anche loro in lista. Tradizionalisti da generazioni, contadini con il cuore in vigna. Hanno sorpassato il Petrus, il rosso più famoso e caro al mondo: per l’annata 2009 si spendono almeno 2.500. I patriarchi barolisti Giuseppe Mascarello e Giacomo Conterno non ci sono più. Se è andato anche Bartolo Mascarello. Ora c’è una generazione nuova: il “filosofo” Giuseppe Rinalcii con il Cannubi San Lorenzo, il dinamico Alfio Cavallotto con Vigna San Giuseppe e i fratelli Marco e Tiziana Parusso. Sul fronte del Barbaresco, Alfredo Roagna, produttore di nicchia con il Crichèt Pajé, esprime “d’inno alla tradizione più vera”, accanto a Bruno Giacosa, “vini-cultore”, come lo chiamava Veronelli. Su tutti la figura più carismatica è quella di Angelo Gaja, nella Best list con il Sorì San Lorenzo, un Nebbiolo. E i toscani? Ecco i brunelliani, il follemente geniale Gianfranco Soldera col Case Basse, nato sotto l’egida del maestro Gambelli, come quello di Poggio di Sotto, ora nell’orbita Bertarelli-Tipa. L’altro Brunello è il Cerbalona, figlio del “Comandante” Diego Molinari. Ancora Toscana: il Pergole Torte, Sangiovese creato da Sergio Manetti; il Caberlot pensato dal pubblicitario tedesco Wolf Rogosky e il Massetto dei Frescobaldi, un Merlot, “l’unico SuperTuscan che può competere con i grandi di Francia” a parere di Gardini.
L’Italia del vigne è piena di talenti. Ecco, in classifica, Arturo Pellizzatti Perego, che fa grande un Nebbiolo lontano dalle Langhe, il Grumello Buon Consiglio della Valtellina. E la famiglia Quintarelli, gli eredi di Giuseppe, con l’Amarone, “l’autentico”. Un po’ più a Nord Gino Lunelli e i suoi nipoti, i trentini dell’impero delle bollicine, in lista con il Giulio Ferrari, Riserva del Fondatore. Un uomo d’altri tempi è il sardo Giovanni Battista Columbu, con la Malvasia di Bosa, conterraneo di Attilio Contini, quello della Vernaccia di Oristano. La classifica si chiude con la Sicilia dei De Bartoli (Marsala), il Carso dei fratelli Paolo e Valter Vodopivec (Vitovska) e l’Asti di Alessandro Boido (Moscato), l’uomo dei “soffici capolavori”.

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